Bestia

Giorgio Caproni, le parole

bé-stia

Significato Animale, specie in quanto privo di ragione, coscienza, bruto; persona meschina, indegna, inumana, rozza

Etimologia dal latino bestia.

  • «Mangia con le posate, bestia.»

Una parola semplice, problematica come tante parole semplici. Ma va tenuto conto che quella della bestia è una categoria molto nostra, latina: nasce in latino, senza che bestia abbia cugini comparabili in altre lingue indoeuropee — e nasce in una nebbia che non lascia ipotesi etimologiche, tranne l’osservazione di una plausibile, ellittica parentela con belva.

È un termine estremamente comune, che può avere anche uno spazio generico ma di solito individua l’animale con un carattere preciso: la bestia è l’animale senza coscienza e ragione, puramente bruto. Da qui finisce per rappresentare un intero modo di essere che si contrappone a quello che è, o che dovrebbe essere, proprio degli esseri umani.

Lavorare, mangiare, vivere, morire come bestie indica invariabilmente il modo più meschino, indegno, inumano di condurre queste animalissime esperienze — l’andare in bestia rappresenta una furia buia, un’eclissi dell’umanità, l’essere una bestia abbraccia un ventaglio di possibilità che va dall’inciviltà ingorda alla crudeltà efferata. Addirittura la bestia nera — con una vaghezza fiabesca — incarna un’entità che terrorizza e perseguita (quell’esame è la bestia nera di generazioni di studenti).
Unici spiragli fuori da questi, incuriositi e divertiti, sono la bestia rara, espressione che scherza su un tono naturalistico (eh, persone così oneste sono bestie rare), e l’essere bestia in un’ammirata manifestazione di forza (hai visto che ha portato il tronco a spalla? che bestia).

È un termine cardinale del racconto culturale dell’alterità degli animali rispetto a noi, un modello di ciò da cui la nostra specie si è staccata, o pretende d’essersi staccata, e di un modo d’essere su cui possiamo e forse dobbiamo signoreggiare — ma anche specchio e monito di una diversa possibilità di esistere.


Fermi! Tanto
non farete mai centro.
La Bestia che cercate voi,
voi ci siete dentro.

Giorgio Caproni, “Saggia apostrofe a tutti i caccianti”, in “Il conte di Kevenhüller”

Di tanto in tanto le cronache narrano d’una bestia antropofaga, terrore di intere regioni. Quella del Gévaudan è la più celebre, e ancora oggi si discute su quale animale fosse: un lupo (o più di uno), o forse un animale esotico come un leone o una iena. Una bestia simile fu oggetto nel 1792 di una grande caccia indetta a Milano dal Conte di Kevenhüller, che ha ispirato una delle più celebri raccolte poetiche di Caproni.

Del resto Caproni è il poeta della caccia per eccellenza. Le sue pagine traboccano di cercatori inquieti, dispersi per territori nebbiosi; e molti di loro sono cacciatori, anche se non sembrano sapere a cosa stiano mirando. Per questo il proclama del Conte affascina tanto il poeta: vi si parla di una bestia innominata, che la sua fantasia può riplasmare a piacimento. Ora è una pantera, ora una cerva, un leone, un drago; è “gecheggiante”, “amebeggiante”, perfino “gommeggiante”.

Il significato simbolico, almeno, parrebbe chiaro: è un’incarnazione del male. Peccato che, come Freud insegna, l’oscurità stia innanzitutto dentro di noi. Caproni dunque gioca volentieri sulla reversibilità: inseguito e inseguitore si confondono, il cacciatore che spara colpisce se stesso. Siamo un impasto troppo confuso di male e di bene per poterli separare con l’esattezza di uno sparo.

Per giunta la bestia è insieme desiderata e temuta dai cacciatori, tanto che la poesia Il flagello ne fa un’incarnazione del desiderio di morte: quell’oscuro piacere di distruggere noi stessi e gli altri che si nasconde nelle profondità del cuore.

Altre poesie invece suggeriscono un’interpretazione diversa. La preda che inseguiamo invano è la parola: quell’unica parola “giusta”, che aderisce perfettamente alla cosa che descrive. E la bestia assassina che temiamo è ancora la parola, perché nominare una cosa significa ucciderla, sostituirla con una nostra immagine mentale. Eppure quando formuliamo un pensiero siamo già “dentro” la parola, indivisibili da essa: come sparare a un bersaglio del genere?

Ma la bestia potrebbe essere anche Dio: un Dio disperatamente cercato ma sempre assente e perciò cattivo, da inseguire a suon di spari. Tuttavia, se qualcuno può essere ucciso, significa che esiste; dunque la caccia è anche uno strano modo per costringere Dio a esserci: “Dio esiste soltanto / nell’attimo in cui lo uccidi” (Ribattuta).

Una cosa, comunque, è sicura: la bestia sarà sempre là dove non l’aspettiamo, in una forma diversa da quella che pensiamo. “Se volete incontrarmi, / cercatemi dove non mi trovo” è l’Indicazione che lei stessa offre, cavallerescamente, ai suoi cacciatori.

Parola pubblicata il 10 Ottobre 2022

Giorgio Caproni, le parole - con Lucia Masetti

Ci avventuriamo insieme in un viaggio insolito — cioè nelle parole di un poeta grande e poco conosciuto del secolo scorso, Giorgio Caproni, a cui dedichiamo una settimana di pubblicazioni a tema.