Calamaio

ca-la-mà-io

Significato Boccetta che contiene inchiostro per scrivere

Etimologia dal latino tardo calamarius, derivato di calamus ‘penna’.

Non sarà proprio quel termine che, compreso meglio, rivoluziona la capacità espressiva, ma un paio di carte interessanti ce le ha anche lui.

Come sappiamo, il calamaio è una boccetta, un vasetto: contiene sciolto l’inchiostro che di solito vediamo intrappolato nelle anime delle penne (che paura), e si usa intingendovi continuamente la punta di un semplice pennino - perché in pochi tratti l’inchiostro finisce e il segno s’interrompe. Il nome è desueto perché è desueto l’oggetto: al massimo traffichiamo con le boccette d’inchiostro per ricaricare le penne stilografiche, quasi mai succede di usare penne per cui serve un calamaio - per quanto la presenza mentale richiesta dall’uso del calamaio porti a uno scrivere molto pensato e misurato (in senso letterale).

Il calamaio (calamarius in latino) prende il suo nome dal calamo (calamus), che fra i suoi molti significati aveva quello di cannuccia, di penna da intingere nell’inchiostro per scrivere. Non stupisce, ma si nota subito quel suffisso nominale ‘-arius’, che in questo caso indica il luogo dove il calamo ritorna, quasi a dipingerci ‘il posto del calamo’. Ora, in toscano questo versatile suffisso latino ha comeesito il suffisso ‘-aio’, così abbiamo ottenuto il calamaio e fine delle curiosità. No.

Il Loligo vulgaris è un mollusco cefalopode che in caso di pericolo, a mo’ di ninja o d’illusionista, espelle un liquido nero che rende torbida l’acqua e copre la sua fuga. Qualche buontempone dei tempi antichi (è attestato all’inizio del Trecento, all’alba della lingua italiana, quindi probabilmente l’associazione girava da tempo) ebbe l’idea di chiamarlo ‘pesce calamaio’. Ha l’inchiostro, è un calamaio, che spiritoso. Col tempo s’è affermata la variante meridionale, romanesca, che di quel suffisso latino ‘-arius’ fa un ‘-aro’, in barba ai toscani. Anvedi il pesce calamaro.

E la calamità? No, quella invece pare proprio che etimologicamente non c’entri.

Parola pubblicata il 27 Settembre 2018