Inconsutile

in-con-sù-ti-le

Significato Privo di cuciture, ma detto in particolare della veste di Cristo

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo inconsutilis ‘privo di cuciture’, derivato del tema di consùere ‘cucire insieme’, con prefisso in- negativo.

Questa parola è difficile per diversi motivi, ma ha un significato tagliato con tale maestria, così penetrante ed evocativo che vale bene lo sforzo — d’intenderla e usarla.

Innanzitutto è una parola dotta, entrata in italiano a partire dal latino tardo della Vulgata, traduzione in latino della Bibbia compiuta da San Girolamo nel IV secolo: nella Vulgata l’immagine della tunica priva di cuciture (in greco chitón árraphos) vestita da Cristo viene resa con l’espressione tunica inconsutilis. L’aggettivo consutilis ci descriverebbe ciò che è composto di parti fra loro cucite, come sono in effetti tutti i nostri vestiti, e lo fa unendo col con- il verbo suere cioè ‘cucire’ (immaginiamoci un ‘consuturato’); qui però è negato dal prefisso in-, dandoci non solo la descrizione di una veste ‘non cucita’, costituita da un unico pezzo intrecciato di tessuto, ma anche una metafora significativa e intendente di unità. Questo di solito non è un problema, anzi: però qui il termine non ha avuto la forza di uscire molto da questo ambito, non genericamente religioso, ma specificamente teologico.

In secondo e più importante luogo, la sua apparizione in una frase è disorientante: si affaccia al nostro vocabolario fra inconsulto, inconsueto, inconsunto, inconsuntile, parole a vederle molto simili ma lontanissime, che nell’ordine ci parlano di ciò che è fatto senza riflettere, di ciò che è strano, fuori dalla normalità, dell’intatto e dell’inestinguibile — hanno in comune solo la somma dei prefissi in- e con-. Quindi è una parola non solo storicamente timida, ma che si confonde bene nella folla. E in effetti è spesso fraintesa, e padroneggiarla è difficile.

Ma osserviamo questo significato: ‘privo di cuciture’. Nel contesto che vogliamo vestire di ricercatezza ci permette di significare una caratteristica saliente di coperture, tende, mantelli, tabarri senza doverci accontentare di diciture didascaliche da acquisto online (tipo ‘pezzo unico’). Ma soprattutto permette dei significati figurati di una potenza unica: c’è un che di monolitico, nell’inconsutile, che però non è massiccio. C’è un che di lineare e continuo, ma meno essenziale, ma con un tratto corposo di maestà sacerdotale, regale. Quella dell’inconsutile è una materia viva, come vivo è il tessuto (presente il taglio a vivo? il vivagno?). Si può parlare dell’azione inconsutile dell’atto unico che abbiamo visto a teatro e ci ha rapiti, di una concordia inconsutile che avvolge l’impresa e i suoi lavoratori, di una diegesi, di una narrazione inconsutile che non ha pause o capitoli, della bellezza inconsutile della pelle liscia di una schiena.

L’inconsutile è l’esatto opposto del rapsodico, che in effetti è proprio ciò che si ottiene cucendo spezzoni, episodi, lacerti. È un derivato del greco rhàptein, ‘cucire’, da cui deriva anche (preceduto da un’alfa privativa) quell’árraphos che qualificava in greco il chitone senza cuciture di Cristo. Là dove la lingua pare più sottile può mostrare la più straordinaria compattezza.

Parola pubblicata il 17 Luglio 2019