Scimunito

Scorci letterari

sci-mu-nì-to

Significato Scemo, senza cervello, incapace di ragionare

Etimologia etimo incerto, probabilmente derivato di scemo.

Può parere strano vista la scontatezza naturale dell’accostamento scimunito/scemo, ma non è una derivazione del tutto pacifica; ci sono etimologie alternative (più suggestive che solide) che per esempio vedrebbero lo scimunito uscire dall’ipotetica voce del latino parlato semimunitus, ‘munito a metà’. Stiamo contenti allo scemo, che comunque etimologicamente ci parla di una metà (da semis), nel senso di testa che funziona a mezzo, a cui mancano mezze rotelle.

Lo scimunito ci descrive così una persona stupida, senza cervello, poco atta a ragionare - specie su ciò che fa. Volentieri con intento iperbolico. Ora, cogliere la differenza con lo scemo è affare sottile: possiamo dire che ‘scimunito’ ha una forma più complessa e pare più ricercato; il lungo rotolare che porta alla ‘i’ accentata dà alla parola un corpo maggiore, e permette al significato di guadagnare forza. Inoltre lo scimunito ha l’aspetto di un participio passato (in effetti il verbo ‘scimunire’ esiste, anche se è marginale), e dà quindi l’impressione che la sua fatuità dissennata sia un risultato più che una dote. (Per quanto pure ‘scemo’ sia participio passato a suffisso breve di ‘scemare’.) Ma sono appunto sottigliezze: lo scemo e lo scimunito sono termini della prima ora dell’italiano, e da sempre usati in modo sostanzialmente fungibile - ed è bello immaginarseli come due compagni d’avventure.

Da scimunito mi chiudo fuori casa senza chiavi, forti della nostra flemma diamo dello scimunito a quello che ci ha tagliato la strada senza nemmeno scendere a mangiargli la nuca, e stiamo tutto il giorno a ripensare alla figura da scimuniti che abbiamo fatto di prima mattina.

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(U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, parte I, lettera del 29 aprile)

Oh la scimunita figura ch’io fo quand’ella siede lavorando, ed io leggo! M’interrompo a ogni tratto, ed ella: «Proseguite!» Torno a leggere: dopo due carte la mia pronunzia diventa più rapida e termina borbottando in cadenza. Teresa s’affanna: «Deh leggete un po’ ch’io v’intenda!» Io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano inavvedutamente dal libro, e si trovano immobili su quell’angelico viso. Divento muto; cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo. Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.

Foscolo è certamente ai primi posti nella mia classifica degli autori più indigesti. Alcuni lo definiscono l’ultimo scrittore neoclassico, altri il primo romantico; a me sembra che si sia impegnato alacremente per combinare i difetti di entrambi. Per fortuna, però, a volte si dimentica di essere un poeta vate e si concede il lusso di un istante di tenerezza, persino di autoironia.

In questo brano, ad esempio, non accade nulla di eclatante, ma tutto è eloquente: gesti minimali suggeriscono i sentimenti dei personaggi, senza svelarli apertamente. Sembra quasi un quadretto impressionista, fatto di piccoli tocchi di pennello. Ed è un quadretto intessuto di umorismo: per una volta l’eroe tragico si lascia sorprendere da una deliziosa imbranataggine, tenerissima e ridicola a un tempo.

Eppure la scena è percorsa da una tensione continua, che presto sfocerà nel primo bacio; e da lì in avanti la vicenda procederà a grandi passi verso la catastrofe. Peraltro ricordiamo che il dramma di Jacopo è, appena un po’ dissimulato, il dramma di Foscolo stesso. È lo specchio della sua incapacità di accasarsi in alcun luogo, sia affettivamente sia politicamente: tanto che l’autore morirà, solo e straniero, in uno squallido sobborgo di Londra.

Perciò, dal punto di vista di Foscolo, Jacopo ha una doppia ragione di definirsi ‘scimunito’: la goffaggine tipica degli innamorati e, più a fondo, la stupidità di abbandonarsi all’affetto e alla speranza. Cose che, per l’autore, sono pure illusioni irrazionali, destinate a perire.

Eppure… eppure Foscolo sa bene che senza tali illusioni non potremmo vivere: non solo perché ci consolano, ma perché sono la base stessa della civiltà. Non a caso lui stesso ha inseguito bellezza e passione per tutta la vita.

In conclusione, questo brano dell’Ortis mi piace per due motivi. Primo, perché dimostra che tutti, anche i grandi uomini, di fronte all’amore diventano un po’ scimuniti. E secondo, perché suggerisce che proprio in questa stupidità stia la loro parte migliore.

Parola pubblicata il 09 Luglio 2018

Scorci letterari - con Lucia Masetti

Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.