Silfide

sìl-fi-de

Significato Spirito elementale dell’aria, compagna del silfo; donna snella e graziosa nelle movenze

Etimologia dal tedesco Sylfe, termine coniato dall’alchimista Paracelso a partire dal latino silva, ‘bosco’, modellato sul greco nýmphe, ‘ninfa’.

  • «Hai visto? Ho la grazia d'una silfide.»

Anche se non ce ne accorgiamo, sulla creazione di un canone dei miti intervengono autori precisi. Questo è vero per il mito greco-romano: riproponiamo alcune storie — Edipo e la sfinge, Bellerofonte e la chimera — senza avere bene in mente che poi interviene sempre un Sofocle, un Esiodo, un Omero a dare una versione un po’ più stabile delle altre, anche se certo, erano racconti nati dallo spirito poetico di un popolo, accordati da bocca a orecchio da aedi e rapsodi, cantanti poeti con la cetra in mano. Questo, col magma popolare del mito nordico, che è molto meno fondato in opere cardinali antiche, e da subito giudicato come pagano dal cristianesimo, è paradossalmente più facile. Magari basta una voce autorevole isolata e un canone si fissa. Potremmo parlare di Wagner, che ha portato la sua versione e un gran numero di nomi mitologici nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento — ma se parlassimo di Paracelso?

Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim (per la sua bellezza è inevitabile citare il nome intero), detto Paracelso, è stato forse il più famoso alchimista della storia, vissuto nella prima metà del Cinquecento. Fu un grande innovatore su molti piani diversi: fra trasmutazioni non più solo di minerali ma di vegetali, nuove concezioni di medicina che anteponevano l’esperimento alla dottrina degli antichi e venerati maestri, e tentativi di creare homunculi (esseri umani artificiali), spicca anche un’innovazione linguistica. Alcune parole le dobbiamo proprio a lui — alcune che usiamo comunemente in modo anche molto concreto, come ‘adepto’, altre invece che si distinguono per abitare il mondo della fantasia, come ‘gnomo’. Infatti, fra le cose che fece, ci fu una razionalizzazione delle figure del mito norreno, che nel suo paradigma incarnavano gli elementi con cui si confrontava continuamente, da alchimista. Lo gnomo, ad esempio (il cuo nome echeggia di gnóme, intelligenza) è uno spirito della terra. Formalizzò la figura dei silfi, coniandone il nome tedesco Sylfe a partire dal latino Silva, bosco, modellato sul greco nýmphe, ‘ninfa’. Il mito nordico popola i boschi, e i venti che li trascorrono, di spiritelli e genî, esseri invisibili — elementali dell’aria, nella lettura di Paracelso. Si trattava di figure fondamentali, nei discorsi sugli elementi che caratterizzano l’alchimia, e sono rimaste un paradigma per tutta la letteratura ermetica successiva.

Capiamo quindi che non si tratta di un termine originale della mitologia nordica — e c’è un carteggio sorprendente in cui questo dato viene rimarcato in modo piuttosto piccato.
Quando Elena Jeronimidis Conte faceva la prima traduzione de Lo Hobbit di Tolkien, nel ‘73 ebbe uno scambio di lettere con l’autore — che era un fine linguista. Tolkien dà diversi consigli, e fra l’altro rifiuta in modo deciso l’uso del nome ‘gnomo’, citato proprio insieme a ‘silfo’, come invenzioni spurie di Paracelso, prive di una dimensione mitologica legittima.

Curiosamente (o prevedibilmente ?) il silfo è rimasto un nome del lessico mitologico, e solo il femminile silfide ha avuto un’estensione figurata. Peraltro, giusto per continuare a puntualizzare per il piacere di Tolkien, ‘silfide’ è un’invenzione ulteriore, settecentesca, di Alexander Pope (un femminile grecizzante, come le Titanidi sono le femmine dei Titani) che lo usa nel suo poema eroicomico ‘Il ricciolo rapito’.

A volte è difficile rinvenire una sostanziale differenza fra silfi, silfidi e altre figure magiche, come le fate, eppure possiamo notare delle chiare peculiarità. Infatti in particolar modo la silfide è sfuggente, leggiadra, diafana, che appare rapidamente e rapidamente scompare. È facile capire come il nome di una figura del genere sia passata ad indicare le ragazze di silhouette snella e portamento agile. Un’estensione diversa ma sullo stesso campo della Valchiria, insomma, e allo stesso livello, testimonianza di una forma delle menti che hanno esteso queste metafore.

A esempio, passando in bicicletta accanto al campo sportivo si ammirano fugacemente le silfidi che fanno la corsa a ostacoli, la ragazza con cui si esce si dimostrerà una vera silfide quando la portiamo a camminare nel bosco, e lo zio, quando si alza da tavola gonfio e sbronzo dopo il pranzo di capodanno, facendo cadere bicchieri e oscillando pericolosamente, si scusa di non aver la grazia di una silfide.

Parola pubblicata il 22 Gennaio 2024