Vergare

ver-gà-re (io vér-go)

Significato Percuotere con una verga; scrivere a mano; listare con righe parallele tessuti o carte

Etimologia da verga, derivato del latino virga.

  • «È una massima vergata sul retro del dipinto dallo stesso autore.»

A volte le parole sono come il dottor Jekyll il signor Hyde: dentro hanno un’anima posata, urbana, elegante, e insieme una brutale.

La verga ha una complessità molto superiore a quella del semplice bastone. Può essere il bastone del pastore, e su cui ci si appoggia camminando; ma soprattutto è un bastone agile, leggero, perfino simbolico — la verga è anche segno di potere, non lontana dallo scettro. Si può menare, con la verga, ma il suo è un colpo più doloroso e umiliante che esiziale e ferente.
Così il vergare prende naturalmente la veste di un ‘bastonare’.

Però non è questa l’azione che di solito colleghiamo al vergare. Il vergare è molto più compassato, aggraziato e dotto, visto che è uno ‘scrivere di propria mano’.
Rileviamo che questo è il primo significato con cui emerge in italiano, ma che cosa c’entri la verga non è cristallino. Che lo strumento con cui si scrive, con cui si lascia traccia, sia descritto corposamente come verga? O piuttosto, che le righe scritte o comunque segnate su fogli e tessuti evochino la forma dritta della verga — non sono appunto righe?

Fatto sta che in questo verbo conserviamo una precisione e un’intensità di significato da tenere presenti. Ci porta tutta la lentezza, tutto il pensiero, tutto il peso che ha lo scorrere della penna sulla carta; rappresenta un rapporto concreto con gli elementi del mondo, la creazione di una traccia fissata, il modo in cui il culturale si imprime sul fisico.

Se parlo di come l’autrice ha scritto un’opera, siamo nell’alveo dell’ordinario — non degno quello ‘scrivere’ di un pensiero, a stento me lo figuro. Se parlo di come ha vergato un’opera, ecco che arrivano tutta la forza, tutta la fatica, tutto il tempo d’immersione; magari è un’immagine pretenziosa, magari invece è proprio la sensazione che voglio richiamare. Se parlo di come scrivo una ricetta continuando il quaderno di ricette della nonna, questa è un appunto, un’informazione. Se parlo di come vergo la ricetta, il mio gesto si fa quasi ieratico, sacrale — e sto attento alla grafia, per stendere quest’aggiunta al libro della legge. E che differenza enorme c’è fra il messaggio che scriviamo all’amico e il messaggio che verghiamo per lui.

Poi il vergare, recuperando proprio questa dimensione di ‘rigare’, è anche il listare con linee parallele tessuti e pagine (magari per scrivere più dritto): in questa veste ha sempre un’aria preparatoria.

Insomma, è un verbo articolato, che nel suo nocciolo d’uso — con questo suono caldo, ampio, variegato ma scorrevole — ci propone non solo la denotazione spiccia e secca di un’azione, ma una profonda connotazione di presenza mentale, e di profondità psicologica.

Parola pubblicata il 29 Marzo 2023