Che cosa si può intendere quando diciamo che una parola ‘viene dal greco’?
La strana situazione di una lingua straniera che ha influenzato la nostra da prima della sua nascita fino ad oggi (con un buco in mezzo).
Sappiamo che le parole di origine greca che troviamo nella nostra lingua sono un numero nutrito, e soprattutto che sono di importanza fondamentale in molti ambiti. Scuola, biblioteca, musica, ritmo, logica, semaforo, simpatia, crisi, idea — e avanti, a centinaia: parole che fanno parte del nostro lessico più quotidiano, come anche di quello scientifico e filosofico. E anzi, con porzioni di parole greche continuiamo a creare neologismi fantasiosi (pensiamo a eco-, bio-, mono, auto-, come anche a -fobia, -logia, -crazia).
Ma come sono arrivate a noi questi indispensabili elementi di una lingua estranea? La risposta è un po' complessa, ricca di storia, ed essenziale per capire la varietà di che cosa si può intendere quando diciamo (anche nelle nostre etimologie e nelle nostre ricostruzioni) che un termine 'viene dal greco'.
La conquista della lingua zia
L'italiano è una lingua che appartiene alla ricca famiglia di quelle che derivano dal latino; ma lo stesso latino non è che un ramo di una famiglia linguistica più ampia, quella indoeuropea, da cui ad esempio si dipartono anche il folto ramo delle lingue germaniche, e quello del greco — che del proprio ramo è la sola esponente. Diciamo che il greco è un parente che non ci assomiglia granché, e in maniera più sottile che manifesta. E questo valeva anche rispetto al latino, naturalmente.
Però in greco venivano scritte e dette le più alte guglie del pensiero antico; e quando Roma si affacciò al mondo come la potenza militare che sarebbe stata, si confrontò subito con la superiorità culturale mediata dalla lingua greca. Dapprima con la conquista della Magna Grecia, a partire dal IV secolo a.C., avvenuta mentre Aristotele scriveva i suoi determinanti contributi alla filosofia e alle scienze della nostra comune civiltà, poi con la conquista della Grecia a metà del II secolo a.C., Roma non poté scampare al greco.
Graecia capta ferum victorem cepit (la Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore).
Orazio, Epistole, II, 1, 156
Tu vuo' fa' 'l greco, ma si' civis romanus
Le commedie di Plauto (vissuto fra III e II secolo a.C.), che tanto facevano ridere i Romani, e che ancora ci portiamo dietro in parole e modi di dire, erano in latino, ma ambientate in Grecia e modellate su quelle greche; la poesia dei poeti nuovi del I secolo a.C. si fonda su canoni ellenistici, di quella grande cultura e lingua comune, sovradialettale (il greco della koiné) emersa dopo le conquiste di Alessandro Magno, che ebbe il suo celebre baricentro in Alessandria d'Egitto; Cicerone scrive le Filippiche richiamando quelle dell'oratore greco Demostene, e con la sua conoscenza del greco avrà un ruolo importante nel traghettare le conquiste della filosofia greca e il suo lessico in latino.
Prendere dotti greci ridotti in schiavitù come precettori per i propri figli è à la page, fare un Erasmus (ehm) in Grecia è un passaggio essenziale di perfezionamento, e anzi lo studio del greco è spesso posto in primo piano rispetto a quello del latino, fino alla tarda età imperiale. E ancora dopo la caduta di Roma il latino continua ad essere permeabile agli influssi di un greco sempre meno classico, sempre più bizantino — anche se sono influssi che concernono più la marineria e i commerci (dalle galee alle polizze) piuttosto che gli alti argomenti della classicità. Con l'importante, nuovo contributo del lessico religioso: prima di arrivare al latino, è dal greco che passa la Bibbia e la lingua del clero.
Il greco inafferrabile del medioevo
L'italiano nasce quindi sì dal latino, che però aveva coltivato un amore profondo per il greco, lingua straniera di cui aveva fatta propria una grande quantità di parole. Su questo terreno già ellenizzato emergono i nostri volgari, i nostri dialetti, le nostre lingue nazionali.
Ma mentre il latino resta un genitore con cui le lingue romanze neonate continuano a confrontarsi e a prendere termini e spunti, codificato e accessibile dagli intellettuali, durante il medioevo in Occidente la conoscenza del greco va perduta. Si continua a sapere quanto la cultura debba al greco, si sa ciò che dal greco è stato tradotto nel latino, ma poco di più.
Per fare un esempio fortissimo, nel IV canto dell'Inferno Dante e Virgilio incontrano un drappello di grandi poeti, e il primo a incedere è Omero, che Dante chiama poeta sovrano, e anche quel segnor de l'altissimo canto che sovra li altri com'aquila vola… ma non ne ha letto un solo verso originale. Mentre di tutti gli altri poeti del drappello conosceva le opere a memoria.
Qualche decennio più tardi, Petrarca e Boccaccio si ingegneranno con sforzo supremo per tentare di recuperare la conoscenza del greco antico, andando a caccia di greci che possano insegnar loro quella lingua di cui hanno appena qualche glossario, e nessuna grammatica. Nel 1360 Petrarca riesce a far venire a Firenze il religioso costantinopolitano Leonzio Pilato, per cui fa istituire una cattedra di greco, ma con risultati scarsi — che peraltro nemmeno il maestro di Leonzio, Barlaam di Seminara, era riuscito nei decenni precedenti a garantire agli umanisti in maniera determinante.
Ma l'esempio indefesso di Petrarca (che pure aveva codici di Platone e di Omero, e si disperava di non poterli leggere!) e forse soprattutto di Boccaccio, che una certa conoscenza del greco antico alla fine l'ottenne, servì a rivitalizzare l'interesse pubblico verso questa lingua. Per la fine del secolo, l'umanista bizantino Manuele Crisolora, venuto a impartire lezioni di greco a Firenze, riuscì a dare all'Occidente la prima grammatica di greco antico. Meno di un secolo più tardi, Agnolo Poliziano scriveva i suoi Epigrammi greci — le prime poesie compiutamente scritte in Occidente, in greco antico, da chissà quante centinaia di anni. Nel mezzo, la caduta di Costantinopoli e dell'Impero d'Oriente, nel 1453, e la conseguente diaspora nelle fervide corti rinascimentali degli intellettuali bizantini avevano contribuito alla riscoperta europea del greco.
Le incredibili possibilità della nuova lingua antica
Più la cultura europea si acclimatava col greco, più ne venivano comprese le potenzialità non solo per recuperare il vecchio (e basta tradurre il greco in latino, adattiamo le parole greche al volgare!), ma anche per dare un nome al nuovo — con una lingua insieme inusitata, versatile e di prestigio millenario. Fra Seicento e Settecento gli studi universitari di questa lingua fiorirono, e al montare dell'onda neoclassica inesorabilmente si affermò, contendendo la piazza al latino, nei lessici specifici delle scienze, a partire da quelle mediche. Sembra che questa lingua, con la sua illimitata possibilità di creare composti, desse — e dia — la sensazione di un inarrestabile potere onomastico. Di gusto peraltro internazionale, più dei termini latini.
Così, volendo osservare l'accaduto da un punto di vista critico, una quantità massiccia di elementi appartenenti a un'altra famiglia linguistica, acconciati spesso in maniera artificiosa, bruta e appiccicati chimericamente su tronchi teste e code di altre parole, o recuperati per mera suggestione o labili nessi con i sensi originali, sono transitati gloriosamente in italiano, anche rimbalzandoci dentro da altre lingue ugualmente affascinate. Non vedete quanto una parola come bicicletta può essere bizzarra? C'è chi ha bubato, e non poco.
Il geroglifico indispensabile
Ma questo carisma ineluttabile del greco non è rimasto relegato nelle alte sfere del sapere; anzi, ha intriso la lingua intera, con le sue parole, i suoi prefissi e suffissi, prefissoidi e suffissoidi (cioè quelle parole che si comportano come prefissi e suffissi, contribuendo alla composizione di parole come primo o secondo elemento). Non se ne può più fare a meno, dai gerghi giovanili (pensiamo allo schizzato, allo sclerare) a quelli giornalistici (quante fobie, quante eco-cose e cripto-qualcos'altro ci troviamo davanti?) — figuriamoci in medicina, psicologia, matematica, filosofia.
Tale è la complessità dei grecismi, che hanno una storia delle più lunghe e curiose, e che con una scarsa mezza misura ci parlano o di tempi antichi o di tempi moderni. La storia di una lingua straniera, che con la sua cultura impareggiabile e le sue seducenti possibilità ha conquistato il latino prima — ellenizzandolo, e facendoci arrivare per via latina tanto del suo patrimonio lessicale. E poi le lingue europee, neolatine e no — lasciandoci qui a usarne concetti e termini senza saper immaginare un'alternativa, anche se li decifriamo a stento.
Le rovine antiche, si sa, sono un formidabile materiale edile.