Etimologia dal nome delle Filippiche, orazioni che l’ateniese Demostene pronunciò contro il re di Macedonia Filippo II tra il 351 e il 340 a.C.
A metà del IV secolo avanti Cristo, sull’intera Grecia incombeva dal nord la potenza in espansione della Macedonia, guidata dal bellicoso re Filippo II - padre dell’ancor più bellicoso Alessando Magno. Le città greche si trovarono a dover decidere fra stringere un’alleanza al gusto di vassallaggio con la Macedonia o invece un’opposizione in campo aperto. Demostene, grande oratore e politico ateniese, in quattro discorsi si pronunciò con grande durezza contro Filippo II e sostenne con fermezza la necessità di scendere in battaglia. Non riuscì subito a smuovere Atene contro l’invasore - o meglio, ci riuscì quando ormai era alle porte e c’era ben poco da fare. E quindi a ben poco servirono le sue Filippiche, che pure si conquistarono l’antonomasia di discorsi aspri, violenti. Non a caso, quando un paio di secoli dopo, a Roma, Cesare fu fatto fuori e la contesa per il potere si fece durissima, Cicerone, pronunciando quattordici orazioni contro Marco Antonio, decise di chiamarle “Filippiche”, proprio modellandole su quelle di Demostene. Anche se il nostro Cicerone tendeva ad uno stile enormemente più magniloquente.
Comunque ancora oggi è di grande impatto chiamare filippica un discorso polemico: sia che lo si faccia per marcare in modo aulico i connotati di violenza del discorso, sia che l’intento sia ironico, è cifra di un gran bel parlare. Si pronuncerà allora una filippica contro una decisione del sindaco, o davanti al pessimo bilancio di un’amministrazione, e a cena il nonno tirerà fuori la consueta filippica contro l’impiegato delle poste che - a dir suo - gli fa sempre male i conti.
A metà del IV secolo avanti Cristo, sull’intera Grecia incombeva dal nord la potenza in espansione della Macedonia, guidata dal bellicoso re Filippo II - padre dell’ancor più bellicoso Alessando Magno. Le città greche si trovarono a dover decidere fra stringere un’alleanza al gusto di vassallaggio con la Macedonia o invece un’opposizione in campo aperto. Demostene, grande oratore e politico ateniese, in quattro discorsi si pronunciò con grande durezza contro Filippo II e sostenne con fermezza la necessità di scendere in battaglia. Non riuscì subito a smuovere Atene contro l’invasore - o meglio, ci riuscì quando ormai era alle porte e c’era ben poco da fare. E quindi a ben poco servirono le sue Filippiche, che pure si conquistarono l’antonomasia di discorsi aspri, violenti. Non a caso, quando un paio di secoli dopo, a Roma, Cesare fu fatto fuori e la contesa per il potere si fece durissima, Cicerone, pronunciando quattordici orazioni contro Marco Antonio, decise di chiamarle “Filippiche”, proprio modellandole su quelle di Demostene. Anche se il nostro Cicerone tendeva ad uno stile enormemente più magniloquente.
Comunque ancora oggi è di grande impatto chiamare filippica un discorso polemico: sia che lo si faccia per marcare in modo aulico i connotati di violenza del discorso, sia che l’intento sia ironico, è cifra di un gran bel parlare. Si pronuncerà allora una filippica contro una decisione del sindaco, o davanti al pessimo bilancio di un’amministrazione, e a cena il nonno tirerà fuori la consueta filippica contro l’impiegato delle poste che - a dir suo - gli fa sempre male i conti.