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‘Vox media’: quando le parole sono incerte

La ‘sorte’ è buona o cattiva? E la ‘fortuna’? Il ‘mostro’ è tale nel bene o nel male? Queste sono ‘voces mediae’: presenze cardinali e fascinose della lingua, che giocano da un campo neutrale (fin dal latino).

Le voces mediae (al singolare vox media) sono quelle parole che potremmo definire neutre, senza una connotazione positiva, né negativa, ma che per pendere da una parte o dall’altra necessitano di essere specificate ulteriormente (con un aggettivo, un avverbio o in altro modo). 

Vorticosa fortuna

L’esempio più tipico è quello del termine “fortuna”. Noi siamo abituati a vedervi un’accezione esclusivamente positiva (e infatti, il fortunato è colui che gode dei doni della fortuna, ma non diremmo mai che fortunato è anche chi si becca un’influenza perché l’ha avuta in sorte), anche se non è sempre stato così. In latino, infatti, il termine fortuna indicava, genericamente, proprio la sorte. Né buona, né cattiva. Poteva quindi essere secunda (“favorevole”), oppure adversa (“avversa”), e tramite aggettivi di questo tipo le si dava una direzione. 

In realtà, almeno nelle sue origini anche l’italiano ha conservato questo carattere di neutralità: Neri Moscoli, un poeta burlesco che visse a cavallo tra i secc. XIII-XIV, dice nelle sue Rime: “poi che fortuna m’è contraria tanto, / quando vedete aperto, Amor mio caro, / convèn ch’io mora nel martiro amaro” – parla quindi di una fortuna contraria. E non era forse la semplice fortuna, a scegliere dove dovessero finire i dannati dell’inferno dantesco all’interno della selva dei suicidi, nel secondo girone del settimo cerchio (“Cade in la selva, e non l’è parte scelta; / ma là dove fortuna la balestra, / quivi germoglia come gran di spelta”)? Altro non è, questa fortuna, se non la sorte — altra vox media che, a differenza della precedente, è rimasta tale anche in italiano. 

Sempre a proposito di fortuna, però, è forse il caso di fare due precisazioni: la prima è che, per quanto sia ormai un termine connotato positivamente già di per sé, in espressioni cristallizzate mantiene il suo valore originario (non ci auguriamo “Fortuna!”, bensì “Buona fortuna”); la seconda, poi, è che anche in italiano antico possiamo vedere quel processo che porta alla sua connotazione positiva: uno dei significati del termine era infatti quello di “tempesta”, forse per scongiurare disastri navali con l’uso di un eufemismo (un po’ come quando i Greci, che credevano che la sinistra fosse sventurata e quindi la chiamavano ἡ ἀριστερά, he aristerà, “la migliore”). “Lo vostro amor che m’ave / in mare tempestoso, / è sì como la nave / c’a la fortuna getta ogni pesanti, / e campana per lo getto / di loco periglioso”, leggiamo in Giacomo da Lentini; e ancora, nella Cronica  di Giovanni Villani: “e il detto Balase essendo in mare, una fortuna li percosse e tutte e sei le sue galee ruppe, e tutti li uomini perirono”. 

Il reo presunto innocente

Un altro termine che potremmo definire, come fortuna, un’ex vox media, è “reo”. Oggigiorno, il termine indica colui che è colpevole di un delitto, ma non è sempre stato così.

Prima il termine reus non indicava la colpevolezza o l’innocenza di un imputato, ma solo il suo essere implicato in un processo (reus ha infatti la stessa radice del termine res, che è il termine che, tra le altre cose, indicava il processo nell’antica Roma). Ecco perché in dubio pro reo: “nel dubbio, a favore dell’imputato”, non “in dubbio, a favore del colpevole” (ovviamente). 

Il mostro ti avverte

Mentre “fortuna” si è cristallizzata nel suo significato positivo, vediamo una una vox media in latino che, nel passaggio all’italiano, ha assunto una connotazione assolutamente negativa: mi riferisco al latino monstrum, da cui deriva chiaramente l’italiano “mostro”. Solo che il mostro italiano lo evitiamo volentieri e non ce lo vorremmo mai trovare davanti, mentre il monstrum latino non necessariamente. Monstrum era infatti tutto ciò che di prodigioso poteva essere inteso come avvertimento della divinità: avvenimenti terribili e calamità inspiegabili, ma anche prodigi e miracoli; il termine condivide infatti la radice con il verbo moneo (“avvertire, ammonire”). Anche in greco le cose stavano così: τὸ τέρας (to tèras) era il prodigio inteso come segnale divino (il lampo, il tuono, l’arcobaleno), ma anche la manifestazione negativa della divinità: la testa della Gorgone è detta nell’Iliade Διὸς τέρας αἰγιόχοιο (Diòs tèras aighiòkhoio), “prodigio di Zeus portatore d’egida”. 

Bisogna notare, infine, come dal sostantivo monstrum sia derivato il verbo monstro, che ha perso qualsiasi connotazione religiosa e ha cominciato a indicare, proprio come il verbo “mostrare” italiano, la semplice azione, appunto, del mostrare, senza prodigi religiosi, belli o brutti che fossero, di mezzo. 

Ho tanta fama

Un ultimo termine interessante a proposito delle voces mediae è “famoso”. Questo aggettivo viene dal latino famosus, a sua volta derivato dal sostantivo fama con il suffisso -osus, che denota presenza o abbondanza del sostantivo di base (“petaloso” ce lo ricordiamo tutti quanti, volenti o nolenti). Famosus è quindi chi ha abbondanza di fama, ovverosia chi è noto – senza specificare se si tratti di una notorietà positiva o negativa. Questa vox media è rimasta tale in italiano: infatti, anche se quando parliamo di una generica persona famosa pensiamo innanzitutto a un divo del cinema, un gran componitore, un superbo autore o qualcosa del genere, possiamo anche parlare di Jack lo squartatore, il famoso assassino seriale che sconquassò la Londra sul finire degli anni ’80, oppure possiamo citare la famosa Kristallnacht che, tra il 9 e il 10 Novembre del 1938, uno dei tristi capitoli della storia della Germania nazista. 


Di voces mediae, quindi, ce ne sono ancora. A volte non ne siamo pienamente consapevoli finché non prestiamo particolare attenzione al loro uso (perché mai uno dovrebbe rimuginare sul perché, se il fortunato può stare tranquillo, dobbiamo comunque augurare buona fortuna?), eppure la loro traccia, come abbiamo visto, si vede.

Chissà se fra qualche secolo, un qualche studioso di storia leggerà una pagina di giornale a noi contemporanea e biasimerà l’ambiguità della nostra sorte, neutrale, vantando invece l’invenzione di qualche letterato che ancora non c’è che forse, un giorno, deciderà di separare il fato bello da quello brutto.

E a voi viene in mente qualche altro esempio di vox media?

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