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Le lingue semitiche #3 — Leggende arabe

Quali sono le lingue semitiche, e che caratteri hanno? Salpiamo alla scoperta di questa grande famiglia linguistica, sviluppatasi sull’altra sponda del Mediterraneo e così importante nella storia delle civiltà.

Miḥrāb della grande moschea di Cordoba, scatto di Ruggero Poggianella

L’arabo è un gran mistero. E non perché è la lingua del famoso modo di dire ‘Non capisco un accidenti, per me è arabo quel che dici’.
È rimasto semi-sconosciuto per quasi un millennio vivendo discretamente in una piccola porzione della penisola arabica, allora occupata principalmente dalle lingue nordarabica e sudarabica. Ma all’alba del VII secolo d.C. — quando Maometto (Mohammad) fondò la religione islamica — spuntò fuori all’improvviso, senza alcun precedente letterario se non qualche sporadica iscrizione, il testo principale della lingua araba, il Corano. Come se nessun documento potesse attestare l’esistenza della lingua russa per secoli e secoli e poi ta-dan, d’improvviso ci si imbatte in Guerra e Pace di Tolstoj. Strano, no?

Eppure, è così che sono andate le cose. Qualche rarissimo frammento di una limitata produzione poetica dell’epoca pre-islamica e il testo principale dell’Islam sono stati le due fonti per una sistematizzazione grammaticale e lessicale dell’arabo classico avvenuta nei secoli immediatamente seguenti l’espansione araba. Il fatto che essa fosse la lingua della rivelazione di Allah a Maometto l’ha resa agli occhi dei fedeli la lingua perfetta, l’idioma di Dio, che non può essere cambiato, implicando un pio conservatorismo linguistico intriso di rispetto.

Ma chi lo parla(va)?

Oggi non esiste un solo arabo, ma tantissimi arabi. L’espansione dell’Islam è stato uno tsunami che si è abbattuto su terre che avevano già una storia linguistica molto importante, come il nord-Africa, la valle del Nilo, la Siria. I vari terreni linguistici, irrigati dall’arabo, hanno fatto germogliare semi diversi. Il risultato sono fiori appartenenti tutti alla stessa famiglia ma dalle fragranze dissimili. Ecco perché la lingua che si sente a Marrakesh è diversa per numerosissimi aspetti da quella di Gaza o del Cairo. La cosa più interessante è che l’arabo classico, quello del Corano, già al tempo di Maometto era percepito come letterario e cerimoniale. Di fatto fu utilizzato come lingua scritta intertribale per veicolare il messaggio coranico, sebbene fosse considerato… vintage.

Infatti, se si prende come punto di riferimento temporale l’Egira (622 d.C.), si deve tener conto che le tribù arabe comunicavano in dialetti che avevano perso molti aspetti della lingua classica, come l’uso delle declinazioni, ed erano entrati in una fase evolutiva che gli accademici definiscono neo-araba. Quasi subito dopo, o addirittura già prima, della scrittura del Corano ad opera dei kuttāb (coloro che misero per iscritto ciò che aveva pronunciato il Profeta), insomma, la lingua parlata mutò, lasciando l’arabo classico cristallizzato nella sua divina e immutabile perfezione di lingua normativa, raffinatissima e di enorme complessità.

La diglossia araba

Come già detto, l’arabo oggi è diviso in numerosissimi dialetti, perché grande è stata l’espansione araba nei secoli. In alcuni territori fu solo passeggera, come in Spagna (Al-Andalus) mentre altrove si è radicata profondamente. Come spiegano Giovanni Garbini e Olivier Durand nel testo ‘Introduzione alle lingue semitiche’, i dialetti arabi sono suddivisi in due macrogruppi:

  • i dialetti beduini, identificabili nelle aree del Maghreb, dell’antica Mesopotamia (oggi Iraq) e della zona siro-araba;
  • i dialetti sedentari, di cui fanno parte gli arabi parlati nella penisola, in Egitto, nella zona di Palestina e Libano, in Tunisia, in Sudan e anche in paesi dell’Asia centrale come l’Uzbekistan.

Questa frammentazione dialettale che molto spesso comporta situazioni di incomprensione totale tra un abitante di Tangeri e un gerosolimitano, solo per fare un esempio, ha fatto sì che nel mondo arabo si creasse una lingua ulteriore, leggermente più facile dell’arabo classico, sebbene basata su di esso. È l’arabo standard, anche detto lingua fuṣḥā più formale e forbita dei dialetti regionali o nazionali, perfetta per le comunicazioni ufficiali e i rapporti internazionali.

Per capire, dunque, quale lingua parla una persona X dal paese Y, si può fare l’esempio di un bambino nato a Luxor, il quale apprenderà in casa il dialetto egiziano (magari proprio quello della sua città), poi, una volta iniziata la scuola, imparerà l’arabo standard e in un secondo momento, quando inizierà a studiare il Corano, entrerà in contatto anche con l’arabo classico. Tutto ciò comporta che le persone di madrelingua araba vivono comunemente una situazione di diglossia: da una parte la lingua araba standard e quella classica della religione, che possono essere accorpate in un unico blocco, dall’altra il dialetto, che si usa per comunicare nella vita di tutti i giorni nel proprio paese.

La cittadella del Saladino, a Il Cairo, in uno scatto di Ahmed Al Badawy

Tutti i dialetti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

Va però detto che il dialetto egiziano, identificabile con quello cairota, gode di una supremazia culturale internazionale all’interno del mondo arabo. Ciò fa sì che molto spesso alcune sue strutture tipiche siano comunemente note e usate anche da parlanti provenienti da altre regioni, come la Tunisia o l’Iraq. Sin dalla fine dell’Ottocento, infatti, l’Egitto fu una nazione di fermento culturale molto interessante: l’enorme sviluppo della stampa che avvenne in quel periodo permise anche una conseguente grande diffusione della letteratura in una modalità simile a quella del feuilleton e un’evoluzione dello stile letterario. La lingua scritta si snellì, abbandonò lo stile aulico, l’uso della prosa rimata, divenne più concisa, efficace e più chiara nell’esposizione.

Vale la pena segnalare inoltre che, nel 1892, ad Alessandria, la siriana Hind Nawfal fondò il giornale al-Fatah, inaugurando una florida stagione di stampa egiziana al femminile: in totale, all’inizio del Novecento, nel paese si contavano ventiquattro testate dirette da donne. Oltre a ciò, sempre riguardo lo sviluppo culturale del paese delle piramidi, non va dimenticata la figura della cantante Umm Kulthoum (1898- 1975) la quale è stata estremamente importante come artista ma anche come simbolo.

Un simbolo saggiamente sfruttato dalla politica e da un personaggio in particolare: il secondo Novecento, infatti, ha visto primeggiare sulla scena internazionale la figura di Nasser, che, col suo operato anticolonialista e la nazionalizzazione del canale di Suez, rese l’Egitto una nazione leader all’interno del mondo arabo (dar al-Islam). L’egemonia geopolitica consolidò in qualche modo una già esistente preminenza culturale, e ad oggi essa si traduce in una vasta diffusione della produzione cinematografica cairota e del dialetto egiziano in tutto il mondo arabo.

Per me parli arabo. – Sì, ma quale?

Fatti tutti i conti, sì, l’arabo è una lingua difficile, nella sua definizione (arabo standard? Classico? Oppure un dialetto?), nella sua storia e, ovviamente, nella struttura grammaticale e fonetica. Da oggi, quando qualcuno vi ascolterà senza capire bene di che cosa state parlando e sbraiterà: “Ma parli arabo?” voi potrete rispondergli: “Mh… ma quale? Classico, standard o un dialetto?”.


Bibliografia:

  • G. Garbini – O. Durand ‘Introduzione alle lingue semitiche’, Paideia Editore;
  • I. Camera d’Afflitto ‘ Letteratura araba contemporanea dalla nahda ad oggi’, Carocci;
  • M. Campanini ‘Storia del Medio Oriente’, Il Mulino.

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