Che cosa abbiamo imparato in due anni e mezzo con «La strana coppia»
64 uscite in cui abbiamo messo parole italiane a confronto con inglese, spagnolo, francese e tedesco — non cercando ‘falsi amici’, ma fratelli. Abbiamo colto qualche tratto in più dei nostri caratteri nazionali? O qualcosa di più importante?
Quando, ormai quasi tre anni fa, notai che i creatori di Una parola al giorno incoraggiavano gli utenti a proporre collaborazioni, mi chiesi in che modo potessi contribuire al progetto, che avevo scoperto per caso tempo prima e di cui mi ero a poco a poco innamorato. Decisi di mettere a frutto la mia conoscenza di alcune lingue europee, proponendo una rubrica in cui si confrontassero parole italiane con le loro ‘gemelle diverse’ straniere. Così, nel gennaio 2019, cominciò La strana coppia, che ora giunge alla conclusione. Non avevo idea, all’inizio, di quanto sarebbe durata: la lista di parole potenzialmente interessanti – in che senso lo chiarirò tra poco – che avevo stilato comprendeva circa 350 coppie; in teoria, scrivendo ogni due settimane sarei potuto arrivare fino al 2034! Ma non tutte le coppie, seppur selezionate con cura, una volta che le si prenda in esame concretamente si rivelano davvero stimolanti per chi scrive.
Fin dall'inizio, mi fu chiaro che non doveva trattarsi semplicemente di ‘falsi amici’, cioè di termini stranieri che, pur somigliando molto ad una parola italiana, hanno un significato diverso. Non c’è alcun interesse – fuorché quello, meramente pratico, di evitare errori di traduzione – in una somiglianza casuale, ad esempio nell’avvertire che estate in inglese non significa ‘estate’, o che il burro spagnolo è il nostro ‘asino’: per queste cose esistono dizionari di ‘falsi amici’ ed elenchi in rete. L’idea di base, invece, era di esaminare coppie la cui somiglianza non fosse accidentale, bensì dovuta ad una medesima origine, a un etimo comune: parole nate dalla stessa radice che però, ad un certo punto, si sono divaricate, prendendo strade diverse. Divaricazioni mai casuali: come le api impollinano i fiori, lo spirito umano feconda le parole, e ognuna di esse è diversa perché diverso è il DNA dei popoli che l’hanno fecondata. Una lingua è molto più che un insieme di parole: esprime un certo sguardo sulla realtà, che varia col variare dei luoghi e delle epoche.
Avverto, nel parlare di queste cose, la presenza di un convitato di pietra. Se i significati attribuiti alle parole nelle diverse lingue riflettono le peculiarità dei relativi popoli, alla fine di un percorso come quello de La strana coppia si dovrebbero poter trarre conclusioni sui diversi ‘caratteri nazionali’ che hanno dato luogo ad accezioni così differenti, imprimendo sulla lingua il proprio marchio distintivo. Si dovrebbe dimostrare nella pratica che, tanto per dire, i tedeschi sono precisi e ordinati e gli italiani più fantasiosi. Ma l’analisi e il confronto linguistico, lungi dal confermare cotali stereotipi, di fatto suggeriscono tutt’altro. Una parola si feconda in infiniti modi, e il suo viaggiare nello spazio, oltre che nel tempo, non fa che moltiplicarne interpretazioni e varianti. Se paragonarla a una sua sorella emigrata all’estero aggiunge senza dubbio opportunità interpretative ulteriori, non necessariamente ciò porta a dipingere un quadro generale – perlomeno non uno in cui ai diversi colori corrispondano visioni del mondo nettamente distinte su base nazionale. Anche in campo linguistico, come in quello genetico, sono molte di più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono.
Detto questo, qualche conclusione la possiamo trarre nell’osservare, ad esempio, come gli inglesi abbiano dipinto il loro cavalier con tratti che sottendono una certa superiorità di classe, di contro alla nostra romantica idealizzazione del cavaliere eroe delle fanciulle e paladino dei deboli e degli oppressi; oppure notando come la nostra illusione sia un inganno e una speranza vana, mentre la ilusión spagnola parla di fiducia, entusiasmo, piacere. Ognuno però trarrà le sue, di conclusioni: personalmente, preferisco di gran lunga aprire porte che chiuderle.
Se non posso dire con certezza di aver compreso, esaminando le evoluzioni discordanti di parole-sorelle europee, qualcosa di più sui popoli che le hanno generate, di sicuro ho imparato qualcosa di più sul linguaggio, toccando con mano, concretamente, il principio saussuriano per cui le lingue non sono nomenclature, liste di parole-etichette intercambiabili ed esattamente traducibili. Un principio che, peraltro, vale anche internamente a ciascuna lingua: difficile che due vocaboli siano sinonimi perfetti. Con le parole bisognerebbe fare come altri invitano a comportarsi con le immagini da cui siamo di continuo circondati e bombardati: non subirle né darle per scontate, bensì fermarsi ad esaminarle con attenzione, capirne il funzionamento, metterle a confronto, così da potersene servire in modo appropriato. Ecco perché, rintracciando la storia di due parole sorelle a partire dalla loro insegna luminosa di ‘false amiche’, capiamo come quest’ultima sia una definizione povera e tutto sommato fuorviante, chiusa com’è nel manicheismo di concetti forti e polari: amico/nemico, vero/falso. Nella lingua non esistono quasi mai ‘veri amici’, termini totalmente sovrapponibili; in realtà tutte le parole sono infide, nella misura in cui ciò che veicolano è sempre irriducibile e molteplice. Se questo, ad osservare con attenzione e senza preconcetti, emerge con evidenza dal raffronto di sinonimi nella stessa lingua (ed è quello che UPAG, in effetti, quotidianamente fa), tanto più probante cartina al tornasole ne è il paragone fra coppie di lingue diverse – parenti, piuttosto che amiche –, confronto da cui scaturisce un’idea meno dicotomica, ma tanto più sfumata e ricca, dei nostri e altrui strumenti per comunicare.
Infine, non posso fare a meno di rimarcare l’apporto decisivo dei lettori. La partecipazione degli utenti, non limitata al puro gradimento ma vero e proprio contributo complementare a ciò che gli autori pubblicano, è da sempre il sale di UPAG e il segno di una comunità attenta e attiva. Questo è vero anche per La strana coppia: al di là dei complimenti ricevuti, sono stati gli interventi in cui si chiedevano precisazioni, si fornivano nuovi spunti (anche da parte di lettori non di madrelingua italiana), si ampliavano i confronti con altre lingue o dialetti, a dimostrare che la rubrica riusciva nel suo scopo e aveva una funzione nell’insieme di intenti del progetto UPAG, giustificandone – spero – la longevità.
Appuntamento alla prossima avventura su questo sito, allora, augurandomi che vi sia gradita come la precedente!