Ghetto

ghét-to

Significato Quartiere abitato da minoranze emarginate - in particolare, storicamente, gli Ebrei

Etimologia dal nome del quartiere di Venezia in cui furono relegati gli Ebrei all’inizio del ‘500: ospitando una fonderia era chiamato geto getto, intendendo i getti di metallo fuso; gli Ebrei Aschenaziti, originari della Germania, pronunciavano questo nome con la g dura - da cui l’odierno ghetto.

È una parola che ha il segno dell’emarginazione, della segregazione, dello sprezzo dell’altro: dai ghetti delle nostre città dell’Europa rinascimentale, ai ghetti tassello dell’abominevole “soluzione finale” nazista, ai ghetti degli afroamericani delle metropoli americane. Sono il simbolo di un gruppo dominante che schiaccia e umilia in modo arbitrario chi percepisce diverso da sé, inferiore a sé - cifra di un’identità immatura, rabbiosa, che blinda e rinchiude le altre nel disagio. Il ghetto è stato uno strumento di frustrazione di comunità altrimenti vivaci e fertili, anzi spesso vivaci e fertili nonostante la frustrazione. E anche se non esistono più ghetti statuiti, continuano ad esistere ghetti istituiti di fatto con la giostra della gentrificazione - magari non più in centro ma dove si vedono meno, zone in cui gli emarginati si radunano, zone brutte, zone pericolose, in cui la gente normale non va.

Noi siamo di Firenze, e anche a Firenze c’era il ghetto degli Ebrei; questo però fu demolito insieme al Mercato Vecchio alla fine dell’800. Per una Firenze che era già stata capitale, ormai affacciata sul mondo, non era più pensabile conservarsi nel cuore lo squallore di simili zone, che quindi furono spazzate via, sostituite dalla distinta Piazza della Repubblica, dai buoni salotti dei caffè, dal mostruoso, trionfale arco che stentoreo chiarisce l’accaduto con una solenne iscrizione: «L’antico centro della città/ da secolare squallore / a vita nuova restituito». Come se il secolare squallore fose saltato fuori da sé. Sarebbe stato bello se il ghetto non fosse stato distrutto: le brutture non si sciolgono abbattendole e facendole magari risorgere in periferia in altra forma - né si può passare sopra alla vita di una città perché non è abbastanza chic. E avere un ghetto che si vede e che si tocca può essere di consiglio quando ti accorgi che emarginare è così facile, che essere emarginati è così terribile. (È lo stesso principio per cui la maestra ci diceva di non cancellare gli errori col bianchetto, ma di farci solo un frego con la penna su: gli errori vanno corretti, ma non devono essere invisibili).

Parola pubblicata il 08 Aprile 2013