SignificatoPreparazione di latte ovino cagliato tipica della Sardegna e nota anche con altri nomi
Etimologia versione del professor Levi, padre di Natalia Ginzburg, del mizzuraddu, sorta di yogurt sardo, parola di probabile origine protosarda.
Cibo e parole. Un connubio notevole, che mostra le radici più intime e vere di una civiltà e, in scala minore, di una comunità o di una famiglia. Nel caso della famiglia Levi, raccontata nel romanzo “Lessico famigliare” da Natalia Ginzburg, il modo in cui vengono chiamati i cibi è una sorta di traccia lessicale delle peregrinazioni compiute in giro per l’Italia dai suoi componenti. Ci sono le torinesi mele carpandue, assai amate dalla madre Lidia Tanzi, c’è il ‘dolce di Gressoney’, così chiamato perché la bistrattata cuoca Natalina ha imparato a fare quando la famiglia stava a Gressoney, dove il professor Levi amava andare a ‘skiare’. E poi c’è il mezzorado, un cardine su cui si imperniava l’alimentazione del professore, fra i primi fondamenti della sua giornata. Si legge infatti che:
Mio padre s'alzava sempre alle quattro del mattino. La sua prima preoccupazione, al risveglio, era andare a guardare se il ‘mezzorado’ era venuto bene. Il mezzorado era latte acido, che lui aveva imparato a fare, in Sardegna, da certi pastori. […] Mio padre faceva, al mattino, una doccia fredda. Lanciava, sotto la sferza dell'acqua, un urlo, come un lungo ruggito; poi si vestiva e trangugiava gran tazze di quel mezzorado gelido, in cui versava molti cucchiai di zucchero.
Questa sorta di yogurt tradizionale sardo, chiamato mizzuraddu, ma anche, con variazioni sul tema sempre di probabile matrice protosarda, miciuratu, mizzulattu, o gioddu, è a base di latte ovino fermentato ed è difficile da ‘far venire bene’. E il professor Levi se ne lamentava spesso:
La neve, per lui, era sempre o troppo acquosa, o troppo secca. Come il mezzorado, che non era mai come doveva essere: e gli sembrava sempre o troppo acquoso, o troppo denso. – Lidia! il mezzorado non è ‘venuto!’ – tuonava per il corridoio. [...]. Il mezzorado era delicatissimo, e bastava niente a far sì che non riuscisse: bastava che lo scialle che lo ravviluppava fosse un po' scostato, e lasciasse filtrare un po' d'aria. – Anche oggi non è «venuto!» Tutta colpa della tua Natalina! – tuonava mio padre dal corridoio a mia madre, che era ancora mezzo addormentata, e gli rispondeva dal letto con parole sconnesse. Quando andavamo in villeggiatura, dovevamo ricordarci di portar via «la madre del mezzorado» che era una tazzina di mezzorado bene incartata e legata con uno spago. – Dov'è la madre? avete preso la madre? – chiedeva mio padre in treno, rovistando nel sacco da montagna.
Natalia Ginzburg ci restituisce, oltre che un estratto delle quotidiane sfuriate paterne, anche un’immagine vivida attraverso cui percepire quanto il cibo, in tempi ben più difficili dei nostri (e non troppo lontani), fosse trattato con rispetto, finanche venerazione. Addirittura, si portava la ‘madre’ in vacanza e se ne parlava come fosse stato un membro della famiglia. Una connessione non peregrina, quella tra madre e cibo, che coinvolge tanto le madri mammifere quanto quelle fungine.
Cibo e parole. Un connubio notevole, che mostra le radici più intime e vere di una civiltà e, in scala minore, di una comunità o di una famiglia. Nel caso della famiglia Levi, raccontata nel romanzo “Lessico famigliare” da Natalia Ginzburg, il modo in cui vengono chiamati i cibi è una sorta di traccia lessicale delle peregrinazioni compiute in giro per l’Italia dai suoi componenti. Ci sono le torinesi mele carpandue, assai amate dalla madre Lidia Tanzi, c’è il ‘dolce di Gressoney’, così chiamato perché la bistrattata cuoca Natalina ha imparato a fare quando la famiglia stava a Gressoney, dove il professor Levi amava andare a ‘skiare’. E poi c’è il mezzorado, un cardine su cui si imperniava l’alimentazione del professore, fra i primi fondamenti della sua giornata. Si legge infatti che:
Questa sorta di yogurt tradizionale sardo, chiamato mizzuraddu, ma anche, con variazioni sul tema sempre di probabile matrice protosarda, miciuratu, mizzulattu, o gioddu, è a base di latte ovino fermentato ed è difficile da ‘far venire bene’. E il professor Levi se ne lamentava spesso:
Natalia Ginzburg ci restituisce, oltre che un estratto delle quotidiane sfuriate paterne, anche un’immagine vivida attraverso cui percepire quanto il cibo, in tempi ben più difficili dei nostri (e non troppo lontani), fosse trattato con rispetto, finanche venerazione. Addirittura, si portava la ‘madre’ in vacanza e se ne parlava come fosse stato un membro della famiglia. Una connessione non peregrina, quella tra madre e cibo, che coinvolge tanto le madri mammifere quanto quelle fungine.