SignificatoApparire alla superficie, specie alla superficie di terra e acqua; trapelare iniziare ad essere percepibile
Etimologia dal francese affleurer, dalla locuzione à fleur de ‘a fior di, alla superficie’.
Quando la lingua ci parla di fiori è normale che il nostro livello di attenzione si alzi - l’odore di meraviglia è immediato. Questo caso in particolare merita una certa concentrazione, perché il verbo ‘affiorare’ richiede al ‘fiore’ uno sforzo di significato davvero alto.
Siamo davanti a un termine entrato in italiano di recente, alle porte del Novecento. E viene mutuato dal francese: chissà quanti nasi ha fatto storcere, Questo gallicismo! Se fino a metà secolo ha conservato un’aura di novità, gli usi figurati di ‘fiore’ erano però già un campo molto frequentato, anzi vista la loro complessità avevano la caratura dell’archetipo. Ecco, il fiore si manifestava e si manifesta in italiano con qualità prime: il morbido, il fresco, la parte migliore, quella gradevole, quella scelta, la parte superiore, quella che sta sopra, in superficie. In un elemento botanico, universalmente ammirato, emergono caratteri non magici, ma primigeni - non meno del dentro-fuori. L’affiorare coglie questo fiore giusto nel suo carattere posizionale: si dice fiore ciò che appare alla superficie. E già che stiamo parlando di elementi primi, il più delle volte è la superficie di terra o acqua.
Attenzione, però: non sempre ciò che affiora viene dalla profondità, emerge. Talvolta, semplicemente si forma in superficie. Così affiora il sale sul pelo dell’acqua, affiora la muffa sul formaggio; e certo, a forza di scavare affiorano antiche fondamenta, e con la bassa marea affiora un nuovo paesaggio. Immagini del genere non potevano non essere catturate dall’estro retorico, e quindi si può anche parlare ci un pensiero che affiora inatteso dopo tanto tempo, di un’espressione felice che affiora su un volto. Basta ci sia, figuratamente o no, una superfice: il fiore vi emerge, vi si posa, vi si allarga con la grazia leggera del fiore di gelsomino nella vasca della fontana.
Quando la lingua ci parla di fiori è normale che il nostro livello di attenzione si alzi - l’odore di meraviglia è immediato. Questo caso in particolare merita una certa concentrazione, perché il verbo ‘affiorare’ richiede al ‘fiore’ uno sforzo di significato davvero alto.
Siamo davanti a un termine entrato in italiano di recente, alle porte del Novecento. E viene mutuato dal francese: chissà quanti nasi ha fatto storcere, Questo gallicismo! Se fino a metà secolo ha conservato un’aura di novità, gli usi figurati di ‘fiore’ erano però già un campo molto frequentato, anzi vista la loro complessità avevano la caratura dell’archetipo. Ecco, il fiore si manifestava e si manifesta in italiano con qualità prime: il morbido, il fresco, la parte migliore, quella gradevole, quella scelta, la parte superiore, quella che sta sopra, in superficie. In un elemento botanico, universalmente ammirato, emergono caratteri non magici, ma primigeni - non meno del dentro-fuori. L’affiorare coglie questo fiore giusto nel suo carattere posizionale: si dice fiore ciò che appare alla superficie. E già che stiamo parlando di elementi primi, il più delle volte è la superficie di terra o acqua.
Attenzione, però: non sempre ciò che affiora viene dalla profondità, emerge. Talvolta, semplicemente si forma in superficie. Così affiora il sale sul pelo dell’acqua, affiora la muffa sul formaggio; e certo, a forza di scavare affiorano antiche fondamenta, e con la bassa marea affiora un nuovo paesaggio. Immagini del genere non potevano non essere catturate dall’estro retorico, e quindi si può anche parlare ci un pensiero che affiora inatteso dopo tanto tempo, di un’espressione felice che affiora su un volto. Basta ci sia, figuratamente o no, una superfice: il fiore vi emerge, vi si posa, vi si allarga con la grazia leggera del fiore di gelsomino nella vasca della fontana.