Etimologia voce dotta presa in prestito dal latino attonitus ‘stordito dal tuono’, propriamente participio passato di attonare ‘stordire’, derivato di tonare ‘tuonare’.
L’attonito è l’intensamente impressionato, lo sbalordito, il paralizzato; il riferimento al tuono in questo prestito trecentesco dal latino è facile da immaginare, ci suona dentro in modo evidente, ma ci sono un paio di considerazioni che ce lo possono spiegare meglio.
Già perché chi è che si fa sbigottire così tanto da un tuono? Nessuno, nemmeno gli antichi Romani: certo erano superstiziosi, certo per loro anche solo il rumore del tuono poteva avere implicazioni religiose (le sacerdotesse flaminie dovevano fare riti di purificazione ogni volta che ne udivano), ma non erano totalmente imbecilli. La chiave di volta che fa stare su questo arco etimologico è semplice ma poco intuitiva. Infatti siamo abituati a pensare al tuono come un rumore forte, di una vastità superna, e che corre a noi di lontano. Si può contare il tempo che passa fra lampo e tuono per avere idea della distanza a cui la saetta ha spaccato l’aria. Ma è tuono anche il rumore del fulmine che ti casca vicino, che ti casca addosso.
È quando il fulmine ti casca vicino che resti attonito. Infatti l’attonitus poteva anche descrivere direttamente il fulminato. Si capisce così la gravità dello stordimento dell’attonito — sbigottito, incredulo e smarrito davanti all’improvviso, immobilizzato da un inatteso di forza travolgente. La situazione di riferimento è quella della persona che dopo lo schianto della folgore ristà, bianca come un cencio, con le orecchie che pulsano e fischiano, impaurita, disorientata.
Così resto attonito davanti alla tua confessione, il risultato dell’esame mi lascia attonito, ammutolisco, attonito, appena entrato nella grande cattedrale. Perché l’attonito, in questa sua così intensa manifestazione, è anche un tratto di una meraviglia superiore. E si allarga su quel bellissimo passo che unisce i versanti dello stupido e dello stupito, avendo anche i tratti del balordo, dello stolto — e anche il fulminato siede qui.
Ma non finisce qui, questa semplice, forte parola: l’esito di poesia maggiore e più sottile lo esprime nell’uso figurato che estende questo stato a oggetti, a paesaggi. L’estensione di questo stupore, di questa sospensione sconfina infatti nel surreale: nel silenzio in cui le cose si abbandonano resta attonita una casa all’improvviso vuota, attonita la strada alle tre di pomeriggio di un luglio cocente, e durante l’eclissi il bosco è sconvolto e attonito. L’ennesima parola colta dalla natura.
L’attonito è l’intensamente impressionato, lo sbalordito, il paralizzato; il riferimento al tuono in questo prestito trecentesco dal latino è facile da immaginare, ci suona dentro in modo evidente, ma ci sono un paio di considerazioni che ce lo possono spiegare meglio.
Già perché chi è che si fa sbigottire così tanto da un tuono? Nessuno, nemmeno gli antichi Romani: certo erano superstiziosi, certo per loro anche solo il rumore del tuono poteva avere implicazioni religiose (le sacerdotesse flaminie dovevano fare riti di purificazione ogni volta che ne udivano), ma non erano totalmente imbecilli. La chiave di volta che fa stare su questo arco etimologico è semplice ma poco intuitiva. Infatti siamo abituati a pensare al tuono come un rumore forte, di una vastità superna, e che corre a noi di lontano. Si può contare il tempo che passa fra lampo e tuono per avere idea della distanza a cui la saetta ha spaccato l’aria. Ma è tuono anche il rumore del fulmine che ti casca vicino, che ti casca addosso.
È quando il fulmine ti casca vicino che resti attonito. Infatti l’attonitus poteva anche descrivere direttamente il fulminato. Si capisce così la gravità dello stordimento dell’attonito — sbigottito, incredulo e smarrito davanti all’improvviso, immobilizzato da un inatteso di forza travolgente. La situazione di riferimento è quella della persona che dopo lo schianto della folgore ristà, bianca come un cencio, con le orecchie che pulsano e fischiano, impaurita, disorientata.
Così resto attonito davanti alla tua confessione, il risultato dell’esame mi lascia attonito, ammutolisco, attonito, appena entrato nella grande cattedrale. Perché l’attonito, in questa sua così intensa manifestazione, è anche un tratto di una meraviglia superiore. E si allarga su quel bellissimo passo che unisce i versanti dello stupido e dello stupito, avendo anche i tratti del balordo, dello stolto — e anche il fulminato siede qui.
Ma non finisce qui, questa semplice, forte parola: l’esito di poesia maggiore e più sottile lo esprime nell’uso figurato che estende questo stato a oggetti, a paesaggi. L’estensione di questo stupore, di questa sospensione sconfina infatti nel surreale: nel silenzio in cui le cose si abbandonano resta attonita una casa all’improvviso vuota, attonita la strada alle tre di pomeriggio di un luglio cocente, e durante l’eclissi il bosco è sconvolto e attonito. L’ennesima parola colta dalla natura.