Etimologia dal francese bruire ‘fare rumore’ (in francese antico ‘vociare, gridare’), secondo alcuni dall’ipotetica voce latina brùgere, che forse è da rugìre ‘ruggire’.
Di parole che descrivono rumori non se ne conoscono e usano mai abbastanza; e forse sono queste le sfide di significato più appassionanti che può raccogliere una parola, perché la parola stessa e ciò che vuole denotare si muovono entrambe sullo stesso campo come suono - insomma qui la parola non è suono che descrive luce, odore, tocco, ma suono che descrive suono.
Su tanti dizionari si legge che ‘bruire’ significa ‘rumoreggiare lievemente’; e questa definizione non dice poi moltissimo, c’è un’infinità di modi di fare un rumore lieve. Spesso si trova però precisato che somiglia a un gorgogliare, e che si attaglia in modo particolare ad acque e foglie. Bruiscono le siepi esposte al vento, bruisce la pioggia sui tetti, e nel bruire del torrente e delle piante che vi si piegano sopra si trova pace.
Ebbene, se a qualcuno quel ‘rumoreggiare lievemente’ ha fatto venire in mente qualche riferimento più viscerale, sappia che Tommaseo nel suo dizionario ottocentesco, oltre a dare per morta questa parola affermava che descrivesse un gorgogliare, romoreggiare delle budella per vento o altro. Poi nel Novecento son passati D’Annunzio e Montale e hanno testimoniato che il bruire non solo scappa dal cimitero quando vuole, ma sa essere parola di alta poesia. Comunque si può dire che dopo il pasto abbondantissimo, nel silenzio abbioccato, le pance bruiscono.
Il bruire ci descrive un rumore piuttosto cupo, prolungato, quasi fosse un rugghio (e forse il ruggire etimologicamente c’entra), ma sonoramente più delicato, arioso, e senza essere particolarmente minaccioso. Può bruire il fuoco nel camino, bruiscono le ventole dei condizionatori, bruiscono le stampanti in azione. Il risultato finale non è poi così diverso dal brusio; non che c’entri etimologicamente, quello è onomatopeico. Ma viviamo dell’impressione che ci fa il suono delle parole più di quanto se ne riesca ad essere consapevoli.
Di parole che descrivono rumori non se ne conoscono e usano mai abbastanza; e forse sono queste le sfide di significato più appassionanti che può raccogliere una parola, perché la parola stessa e ciò che vuole denotare si muovono entrambe sullo stesso campo come suono - insomma qui la parola non è suono che descrive luce, odore, tocco, ma suono che descrive suono.
Su tanti dizionari si legge che ‘bruire’ significa ‘rumoreggiare lievemente’; e questa definizione non dice poi moltissimo, c’è un’infinità di modi di fare un rumore lieve. Spesso si trova però precisato che somiglia a un gorgogliare, e che si attaglia in modo particolare ad acque e foglie. Bruiscono le siepi esposte al vento, bruisce la pioggia sui tetti, e nel bruire del torrente e delle piante che vi si piegano sopra si trova pace.
Ebbene, se a qualcuno quel ‘rumoreggiare lievemente’ ha fatto venire in mente qualche riferimento più viscerale, sappia che Tommaseo nel suo dizionario ottocentesco, oltre a dare per morta questa parola affermava che descrivesse un gorgogliare, romoreggiare delle budella per vento o altro. Poi nel Novecento son passati D’Annunzio e Montale e hanno testimoniato che il bruire non solo scappa dal cimitero quando vuole, ma sa essere parola di alta poesia. Comunque si può dire che dopo il pasto abbondantissimo, nel silenzio abbioccato, le pance bruiscono.
Il bruire ci descrive un rumore piuttosto cupo, prolungato, quasi fosse un rugghio (e forse il ruggire etimologicamente c’entra), ma sonoramente più delicato, arioso, e senza essere particolarmente minaccioso. Può bruire il fuoco nel camino, bruiscono le ventole dei condizionatori, bruiscono le stampanti in azione. Il risultato finale non è poi così diverso dal brusio; non che c’entri etimologicamente, quello è onomatopeico. Ma viviamo dell’impressione che ci fa il suono delle parole più di quanto se ne riesca ad essere consapevoli.