SignificatoIn retorica, descrizione verbale di un’opera d’arte, di una persona, di un luogo, di un avvenimento
Etimologia dal greco èkphrasis da èkphrazo descrivere con eleganza, composto da ek- fuori e phràzo parlare, indicare, descrivere.
L’ecfrasi, in retorica, è la descrizione a parole di una persona, di un luogo, di un oggetto, di un’opera d’arte. E allora, oltre ad essere una parola molto più difficile, che cosa ci comunica in più della semplice ‘descrizione’?
Facile: l’ecfrasi sfida il suo stesso oggetto. Tenta una comunicazione più espressiva di quanto può essere un’immagine, cerca di trasmettere di più di quanto farebbe un’esperienza in prima persona. Prendiamo i grandi critici d’arte: le loro ecfrasi non sono semplici descrizioni di dipinti e statue: portano alla luce un bello spesso difficile, tagliano significati nella nostra mente, spiegano ciò che vediamo - e ci fanno vedere di più. Prendiamo l’innamorato della propria terra: ce ne parlerà con ecfrasi che non sono descrizioni, ma slanci, scorci, elaborazioni di valore e bellezza, che noi, magari da turisti, altrimenti guarderemmo senza vedere.
Muovendo qualche passo ulteriore, l’ecfrasi può essere intesa come l’uso di un’arte per descrivere qualcosa che appartiene a un’altra arte. Il film Fantasia ne può essere un esempio: si usa il cartone animato - figura e narrazione - per descrivere una musica.
In generale, l’oggetto dell’ecfrasi si ritrova a poggiare su più canali comunicativi ed esperienziali quasi in gara fra loro - una gara formidabile, che genera bellezze impensate e nuove. E se anche l’oggetto perisce (o non è mai esisito!), l’ecfrasi può sopravvivere: in tempi antichi, se una statua celebre andava distrutta, grazie alle ecfrasi che la rappresentavano, uno scultore, anche secoli dopo, poteva tentare di ricrearla (diversa, certo).
L’ecfrasi non è solo una descrizione virtuosistica; trova la poesia, la comunicazione di quell’armonia che «vince di mille secoli il silenzio».
L’ecfrasi, in retorica, è la descrizione a parole di una persona, di un luogo, di un oggetto, di un’opera d’arte. E allora, oltre ad essere una parola molto più difficile, che cosa ci comunica in più della semplice ‘descrizione’?
Facile: l’ecfrasi sfida il suo stesso oggetto. Tenta una comunicazione più espressiva di quanto può essere un’immagine, cerca di trasmettere di più di quanto farebbe un’esperienza in prima persona. Prendiamo i grandi critici d’arte: le loro ecfrasi non sono semplici descrizioni di dipinti e statue: portano alla luce un bello spesso difficile, tagliano significati nella nostra mente, spiegano ciò che vediamo - e ci fanno vedere di più. Prendiamo l’innamorato della propria terra: ce ne parlerà con ecfrasi che non sono descrizioni, ma slanci, scorci, elaborazioni di valore e bellezza, che noi, magari da turisti, altrimenti guarderemmo senza vedere.
Muovendo qualche passo ulteriore, l’ecfrasi può essere intesa come l’uso di un’arte per descrivere qualcosa che appartiene a un’altra arte. Il film Fantasia ne può essere un esempio: si usa il cartone animato - figura e narrazione - per descrivere una musica.
In generale, l’oggetto dell’ecfrasi si ritrova a poggiare su più canali comunicativi ed esperienziali quasi in gara fra loro - una gara formidabile, che genera bellezze impensate e nuove. E se anche l’oggetto perisce (o non è mai esisito!), l’ecfrasi può sopravvivere: in tempi antichi, se una statua celebre andava distrutta, grazie alle ecfrasi che la rappresentavano, uno scultore, anche secoli dopo, poteva tentare di ricrearla (diversa, certo).
L’ecfrasi non è solo una descrizione virtuosistica; trova la poesia, la comunicazione di quell’armonia che «vince di mille secoli il silenzio».