Galvanismo
gal-va-nì-smo
Significato Nome ormai in disuso concernente due fenomeni distinti: l’elettricità animale ipotizzata da Galvani, e la generazione di corrente elettrica nelle pile voltaiche
Etimologia derivato dal nome dello scienziato Luigi Galvani.
Parola pubblicata il 21 Giugno 2024
Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti
La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.
Luigi Galvani è stato un importantissimo fisiologo, anatomista e fisico, che conosciamo per le molte parole coniate a partire dal suo nome: il galvanometro, che è il classico strumento di misura elettrico a lancetta (che non ha inventato); la galvanostegia, ovvero l’insieme dei procedimenti galvanici di cromatura, zincatura ecc. (che non ha inventato); il verbo galvanizzare, nel senso di sottoporre un corpo animale all’azione della corrente elettrica e, per estensione, l’elettrizzare gli uditori con discorsi entusiasmanti (anche queste accezioni sono successive al Galvani). Dunque se il Nostro non ha inventato niente di tutto ciò, per cosa è famoso? Per il galvanismo, l’unica parola che circolasse mentre era ancora in vita.
Negli ultimi anni del XVIII secolo era rinato lo studio dell’anatomia e della fisiologia, a causa della relativamente recente invenzione del microscopio e del diffondersi dei primi generatori di corrente basati sulla triboelettricità. L’invenzione della bottiglia di Leida consentiva di disporre di accumuli di carica elettrica facilmente trasportabili, grazie ai quali vennero studiati il sistema nervoso e la propagazione degli impulsi dal cervello ai muscoli. Gli esperimenti venivano condotti con animali perlopiù morti (ma anche no), in particolare rane che erano facili da preparare, nel senso che venivano dissezionate in modo da esporre il midollo o certi nervi sui quali agire con scariche elettriche. Ebbene una volta che Galvani stava lavorando su una rana disposta su un vassoio di ferro, toccò il nervo scoperto con uno strumento di rame la cui altra estremità sfiorò accidentalmente lo stesso vassoio: in quel momento, sorprendentemente (senza che venissero applicate scariche elettriche), la rana mosse violentemente le zampe. La notizia di questa novità si diffuse in un lampo, e in tutta Europa ci fu un fiorire di scienziati dilettanti che si… dilettavano nello squartare rane per replicare l’esperimento!
In merito al fenomeno nacque una vivacissima (seppur civile) polemica fra Galvani, che pensava si trattasse della scoperta di una elettricità animale, e Alessandro Volta, che credeva si trattasse della stessa elettricità universale prodotta dalle macchine elettriche. In merito alla supposta elettricità animale venne adottato il termine galvanismo, usato con intenti elogiativi o dispregiativi, a seconda dei punti di vista. Volta dimostrò inizialmente che i fenomeni descritti da Galvani erano dovuti solo alla diversità dei metalli coinvolti, ferro e rame; allora Galvani presentò a più riprese nuove prove sperimentali a sostegno della sua elettricità animale, ma Volta riusciva sempre a controbattere.
Galvani morì mentre la controversia era ancora in corso. L’invenzione della Pila da parte di Volta, alla base di una quantità enorme di scoperte successive, sembrò demolire le teorie di Galvani; tuttavia qualche decennio dopo fu inventato un elettroscopio sufficientemente sensibile da rilevare la debolissima elettricità che effettivamente circola nei tessuti animali: con questo la figura di Galvani fu pienamente riabilitata, e in suo onore si è ripreso a parlare di galvanismo, non più in quanto elettricità animale, ma per identificare i fenomeni che generano elettricità nelle pile, formate a loro volta da celle galvaniche.
Nel periodo che intercorse fra la morte e la definitiva affermazione di Galvani, il nipote Giovanni Aldini si dava da fare per mantenerne vive le idee. Persuaso che l’essenza della vita risiedesse proprio nell’elettricità animale, nel 1803 scrisse un testo in cui asseriva che in determinate condizioni sarebbe stato possibile riportare in vita un morto mediante stimoli elettrici – e volle tentare l’esperimento.
A quei tempi la ghigliottina era diffusa in tutta Europa, ma non in Inghilterra, in cui vigeva ancora l’impiccagione. Aldini si recò dunque a Londra, dove riuscì ad ottenere la consegna del cadavere intero di tale George Forster, giustiziato per il possibile assassinio di moglie e figlia, e ne fece oggetto di esperimento pubblico con applicazione di scosse elettriche generate da potenti pile di Volta. Ecco il resoconto riportato nel Calendario di Newgate, il bollettino mensile delle esecuzioni redatto dal custode dell’omonimo carcere londinese: « Alla prima applicazione del processo sul viso, le mascelle del criminale deceduto iniziarono a tremare, e i muscoli adiacenti furono orribilmente contorti, e un occhio si aprì effettivamente. Nel corso di altri tentativi la mano destra è stata sollevata e serrata, e le gambe e le cosce sono state messe in movimento […]».
Alcuni spettatori credettero che il malcapitato fosse davvero tornato in vita, ed uno di loro fu talmente sconvolto dallo spettacolo da morire d’infarto. Ma se davvero fosse tornato in vita, cosa ne sarebbe stato del povero Forster? Il Calendario di Newgate ci... rassicura: egli sarebbe stato giustiziato nuovamente, poiché la sua condanna era di impiccagione fino alla morte.
L’esperimento sconvolse l’opinione pubblica, turbando in particolare il sonno di una giovane donna che ne ebbe degli incubi orribili, dai quali scaturì l’ispirazione per un libro. Si tratta di Mary Shelley, ed il libro era niente meno che ‘Frankenstein o il moderno Prometeo’.
È un libro che dà molto da pensare. Per esempio, cosa succederebbe se un giorno si scoprisse che in qualche modo, per dirla come nella celebre battuta del film Frankenstein Junior, «Si – può – fare»?