Bottiglia

Parole della scienza classica

bot-tì-gli-a

Significato Recipiente per liquidi, solitamente di forma cilindrica, dotato di collo per l’impugnatura

Etimologia forse dallo spagnolo botella, forse dall’antico francese boteille ‘recipiente per vino’, o forse direttamente proveniente dal loro antecedente del latino volgare ricostruito come buttìcula, diminutivo di buttis ‘botte, vaso’.

  • «Stapperò questa bottiglia per dimenticare… ciò che avevo festeggiato con la bottiglia precedente»

La bottiglia fa parte di una famiglia di termini dedicati a diversi livelli di stazza: si va dalla piccola bottiglietta o boccetta o ampolla, al bottiglione, passando per il fiasco, di capacità intermedia e forma più panciuta. Si tratta sempre di recipienti di forma più o meno cilindrica dotati di un collo stretto che ne favorisce la chiusura ermetica e, a seconda delle dimensioni, l’impugnatura. Anche la damigiana ha un aspetto simile, ma questa no, è davvero oltre misura, non è proprio ciò che chiameremmo bottiglia!

Il termine bottiglia può indicare il contenitore, il contenuto ed entrambi. Se lo zio beve una bottiglia, è ovvio che ne ha scolato il contenuto; ed a seconda del tipo di vino che ha bevuto, la forma della bottiglia potrà essere stata bordolese, renana, borgognona, sciampagnotta… in un elenco che probabilmente non potrebbe mai essere completato. Peraltro differiscono anche i materiali: plastica, vetro, talvolta ceramica; ed i colori, con il verde che la fa da padrone quando ci sia da preservare il contenuto dalla luce solare.

Come dicevamo, segno identificativo della bottiglia è il suo collo, che come effetto collaterale ha quello di rallentare la fuoriuscita del liquido (cosa che non accade, ad esempio, con la caraffa). Per traslato, si parla di collo di bottiglia ogni qualvolta ci sia una strozzatura, come l’incrocio stradale che rallenta il flusso delle automobili in transito, o il passaggio produttivo che rallenta il processo industriale.

Le bottiglie sono anche incendiarie, e non solo in senso figurato (come possono esserlo certi distillati che contengono): si tratta di comuni bottiglie riempite di benzina e dotate di una miccia accesa per cui, al momento in cui vengono scagliate e si rompono, fanno divampare un incendio (così è fatta la ben nota bottiglia molotov). Le bottiglie danno anche il nome, e fanno parte, di una quantità sterminata di dispositivi tecnologici. Vediamo una bottiglia particolare, protagonista di un grande avanzamento scientifico del passato?

Elettricità. Nel XVIII secolo erano stati già capiti molti fenomeni riguardanti l’elettricità statica. Cent’anni prima, Otto von Guericke (l’inventore della pompa per il vuoto) aveva realizzato una prima macchina elettrica: una sfera di materiale isolante fatta ruotare sul suo asse grazie ad un sistema di pulegge e manovelle. Sopra alla sfera rotante era appeso il cosiddetto primo conduttore, una barra metallica sospesa a fili isolanti, dalla quale pendeva una catenella che sfiorava la sfera. La macchina funzionava così: mentre la sfera veniva fatta girare, lo sperimentatore la sfiorava con le mani, elettrizzandola grazie alla triboelettricità, e la catenella raccoglieva la carica elettrica generata per inviarla al primo conduttore. Il risultato era che, anche dopo avere fermato la rotazione della sfera, il primo conduttore rimaneva elettricamente carico, ed era quindi in grado di generare tutti gli effetti di attrazione e repulsione elettrostatica, nonché di generare scintille.

Il problema era che una macchina così ingombrante non consentiva l’esecuzione di esperimenti per i quali sarebbe stato preferibile qualcosa di più maneggevole; dunque intorno al 1746 un professore dell’università di Leida, nei Paesi Bassi, provò semplicemente ad imbottigliare l’elettricità statica, per poi poterla portare in giro. L’idea fu di prendere una bottiglia, riempirla di un liquido, e turarla con un turacciolo attraversato da un chiodo che toccasse il liquido. Quando vennero messi in contatto il chiodo con il primo conduttore della macchina elettrica non sembrò succedere niente di particolare, ma ad un certo punto il fisico Pieter van Musschenbroek, che teneva in mano la bottiglia, con l’altra mano sfiorò il chiodo. Descrisse l’esperienza con queste parole: «Il braccio e tutto il corpo furono così atrocemente percossi che non riuscivo affatto a muovermi, pensavo proprio che fosse giunta la mia ora». Altri scienziati, replicando lo stesso esperimento, furono… meno fortunati; eppure, toccare il primo conduttore della macchina elettrica poteva essere al più fastidioso, ma non era mai stato pericoloso. Cosa c’era di diverso?

Di fatto, era stato inventato il primo condensatore elettrico, un dispositivo in grado di accumulare molta più carica di quanto facesse il primo conduttore della macchina elettrica. In due parole: ogni condensatore è costituito da due armature separate da un materiale isolante; poiché i poli opposti si attraggono, le cariche positive di un’armatura si raccolgono in vicinanza delle cariche negative dell’altra, e viceversa; dunque cariche che in condizioni normali tenderebbero a disperdersi rimangono legate fra loro, aumentando a dismisura il loro accumulo e gli effetti elettrici che generano. Nell’esperimento di Leida le due armature erano il liquido contenuto, e le mani dello sperimentatore.

Successivamente si capirà che la mano dello sperimentatore a sorreggere la bottiglia poteva essere sostituta da uno strato metallico, ed infatti la bottiglia di Leida (così fu chiamato il dispositivo) finì per essere costituita solo da uno strato di vetro isolante che separava due armature metalliche, una interna e l’altra esterna. Questo dispositivo consentirà a Benjamin Franklin di capire la natura elettrica dei fulmini, e darà l’avvio di una serie infinita di scoperte scientifiche.

Un’ultima curiosità: Musschenbroek usò una bottiglia riempita… di alcol. Dunque oltre alla scarica quasi mortale che lo investì, rischiò che la scintilla innescasse un devastante incendio.

Parola pubblicata il 24 Maggio 2024

Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti

La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.