SignificatoInadatto alla guerra; vile, pavido, fiacco
Etimologia voce dotta recuperata dal latino imbellis ‘inadatto alla guerra, pacifico’, derivato di bellum, ‘guerra’, con prefisso negativo in-.
Talvolta nelle parole, pur distinte e ricercate, trionfa il tratto più puzzolente.
Quella dell’imbelle è una qualità che — dizionario alla mano — stimiamo miserabile: infatti è inetto, è vile, e per casuale prossimità, pur senza conquistarne i significati, prende anche un certo sentore di imbecille (forse complici anche Aldo Giovanni e Giacomo, con la scena di Ajeje Brazorf sul tram — «Ignorante nel senso che ignora che quello è un biglietto singolo.» «Allora lei è un imbecille nel senso che imbelle.»). Ebbene, la conformazione dei significati di questa parola è frutto eloquente di una cultura che, dalla classicità alla contemporaneità, valuta l’essere in guerra e incline alla guerra come segno di attività, fattività, capacità, coraggio, saldezza e profondità morale, virilità e vigore. Vi è concentrata, insomma, tutta la virtù.
Però ‘imbelle’ nella sua storia ha avuto una grande estensione di significati, anche scevri da tratti negativi — specie dapprincipio, quando fu recuperata con una certa freschezza alla fine del Quattrocento. L’imbelle, (vista l’ampiezza di suggestioni che permette il prefisso in- negativo apposto a bellum, ‘guerra’) è stato anche il pacifico, il tranquillo, il quieto, il mansueto, il timido. Ma già in latino imbellis era principalmente l’inadatto alla guerra, e perciò l’inoffensivo spregiato e il vigliacco: questo non ci stupisce, nessuno ha portato la guerra a fondo come i Romani (le porte del tempio di Giano a Roma venivano chiuse in tempo di pace: famosamente, restarono aperte per quasi l’intera storia di Roma, con brevi eccezionali chiusure). Ma evidentemente questa considerazione per il valore guerresco è stata condivisa anche in tempi più recenti — posto che i significati dell’imbelle si sono nientemeno che distillati nel pavido, nel vile, nel fiacco, anche senza che sia percepito in maniera evidente un riferimento all’inettitudine alla guerra.
Così parleremo di uno Stato imbelle di fronte alle minacce e agli affronti, di un’opposizione tanto indignata quanto imbelle, o di come ci si ritrovi imbelli fra difficoltà che si susseguono. Una parola dal destino segnato — anche se sarebbe poetico (e quasi un sollievo) parlare del cane ignoto che si presta imbelle alle nostre carezze, di una risposta imbelle e pacificatrice alla provocazione, del paese imbelle che coopera tutto insieme nella sagra.
Talvolta nelle parole, pur distinte e ricercate, trionfa il tratto più puzzolente.
Quella dell’imbelle è una qualità che — dizionario alla mano — stimiamo miserabile: infatti è inetto, è vile, e per casuale prossimità, pur senza conquistarne i significati, prende anche un certo sentore di imbecille (forse complici anche Aldo Giovanni e Giacomo, con la scena di Ajeje Brazorf sul tram — «Ignorante nel senso che ignora che quello è un biglietto singolo.» «Allora lei è un imbecille nel senso che imbelle.»). Ebbene, la conformazione dei significati di questa parola è frutto eloquente di una cultura che, dalla classicità alla contemporaneità, valuta l’essere in guerra e incline alla guerra come segno di attività, fattività, capacità, coraggio, saldezza e profondità morale, virilità e vigore. Vi è concentrata, insomma, tutta la virtù.
Però ‘imbelle’ nella sua storia ha avuto una grande estensione di significati, anche scevri da tratti negativi — specie dapprincipio, quando fu recuperata con una certa freschezza alla fine del Quattrocento. L’imbelle, (vista l’ampiezza di suggestioni che permette il prefisso in- negativo apposto a bellum, ‘guerra’) è stato anche il pacifico, il tranquillo, il quieto, il mansueto, il timido. Ma già in latino imbellis era principalmente l’inadatto alla guerra, e perciò l’inoffensivo spregiato e il vigliacco: questo non ci stupisce, nessuno ha portato la guerra a fondo come i Romani (le porte del tempio di Giano a Roma venivano chiuse in tempo di pace: famosamente, restarono aperte per quasi l’intera storia di Roma, con brevi eccezionali chiusure). Ma evidentemente questa considerazione per il valore guerresco è stata condivisa anche in tempi più recenti — posto che i significati dell’imbelle si sono nientemeno che distillati nel pavido, nel vile, nel fiacco, anche senza che sia percepito in maniera evidente un riferimento all’inettitudine alla guerra.
Così parleremo di uno Stato imbelle di fronte alle minacce e agli affronti, di un’opposizione tanto indignata quanto imbelle, o di come ci si ritrovi imbelli fra difficoltà che si susseguono. Una parola dal destino segnato — anche se sarebbe poetico (e quasi un sollievo) parlare del cane ignoto che si presta imbelle alle nostre carezze, di una risposta imbelle e pacificatrice alla provocazione, del paese imbelle che coopera tutto insieme nella sagra.