Ouverture
ou-ver-tù-re
Significato Brano per orchestra preposto a un’opera teatrale; brano strumentale, moderatamente lungo, dal carattere introduttivo o anche autonomo
Etimologia prestito dal francese ouverture ‘apertura’, dal latino volgare opertūra, alterazione del latino classico apertūra, che in Italia fu usato per indicare principalmente la sinfonia iniziale di un’opera o una composizione a sé stante.
Parola pubblicata il 25 Febbraio 2024
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Non è una sorpresa: ouverture è un prestito della lingua francese, calato dal lessico musicale d’Oltralpe in terra italica senza subire modifiche, com’è avvenuto invece con l’overture inglese che perse la ‘u’.
I dizionari etimologici insegnano che viene dal latino volgare opertūra, a sua volta dal latino classico apertūra ‘apertura’. In latino ŏpĕrīre significava però ‘coprire, chiudere’ che, dunque, con la volgarizzazione andò a occupare il campo semantico dell’antonimo, del contrario.
Ancora oggi oprire significa aprire nei vernacoli dell’Italia centrale. È un uso antico e diffuso già agli albori dell’italiano. Ne osserviamo uno per tutti, Jacopone da Todi, che scriveva: «Oprétemenne la porta, ch’eo voglio entrar…» (apritemi la porta perché io voglio entrare…)
Nel resto d’Europa apparvero altre varianti volgari, come il catalano obrir. Per il francese ouvrir, un’ipotesi vorrebbe che ăpĕrīre si alterasse in ŏpĕrīre sotto l’influenza del verbo cŏŏpĕrīre ‘coprire’, che alla fine si assestò come couvrir. Quest’ultimo esito è responsabile anche dell’inglese cover.
L’affermazione del termine musicale è legata al fatto che la Francia deteneva storicamente un notevole prestigio internazionale. La sua corte dettava la moda e le tendenze del momento, ed esportò anche l’ouverture, che inizialmente aveva lo scopo di aprire solennemente un balletto. Nel secondo volume della raccolta Plusieurs Anciens Ballets, si trova infatti un ballet de cour intitolato Ballet de Mademoiselle che apre appunto con un’ouverture strumentale, seguita da varie entrée. Come recitano le parole sotto il titolo, venne danzato alla presenza de Le Roy Soleil nel 1640.
Nelle mani del compositore Giovanni Battista Lulli, che lavorava al servizio dello stesso sovrano, l’ouverture venne plasmata divenendo un modello, sia pure non rigido, per i musicisti successivi. La prima sezione assunse il carattere di marcia, con maestosi ritmi puntati, come nell’Alcidiane di cui queste sono le battute iniziali:
Col tempo l’ouverture precedette un’opera, un oratorio, oppure andò a costituire il primo movimento di una suite, come in Bach. Naturalmente esistevano da molto tempo musiche con funzione introduttiva. Abbiamo visto, sia pure per sommi capi, in cosa consistesse l’introito.
In Italia, sin dal Rinascimento, un breve brano strumentale che si trovava all’inizio o tra una sezione e l’altra di una composizione si chiamava sinfonia. Alla fine del Seicento la ‘sinfonia avanti l’opera’ era destinata al teatro, un nuovo luogo di svago che all’epoca poteva essere molto chiassoso… forse bisognava attrarre l’attenzione del pubblico prima che iniziasse l’opera vera e propria: silenzio in sala, ora parla la musica!
L’ouverture italiana si andò strutturando in tre sezioni, allegro-lento-allegro, inizialmente brevi e semplici. Più tardi si definirà come una fantasia dei temi musicali principali, che saranno ascoltati nel corso della rappresentazione, come le celebri ouverture delle opere di Verdi o di Rossini.
Nel Settecento l’uso del termine ouverture fu esteso a composizioni di tipo sinfonico, indipendentemente dal fatto che fungessero da preludi introduttivi a opere drammatiche. Poi, nell’Ottocento l’ouverture fu concepita anche come opera autonoma, come il Coriolano di Beethoven (noto per essere stato impiegato in una pubblicità d’altri tempi di un amaro) o Die Hebriden (Le Ebridi) di Mendelssohn.
Insomma, questo termine abbraccia varie forme, dall’ouverture italiana a quella francese, da quella teatrale a quella da concerto. Con una storia compositiva così lunga e movimentata, l’ouverture è stata accolta in tutta Europa e ormai il termine si è radicato nella lingua italiana. Perciò ha trovato anche utilizzi figurati, come quando Stefano confida a Paolo che per la cena del suo compleanno sta orchestrando un’ouverture di antipasti con una sinfonia di piatti esotici.