Tralice
tra-lì-ce
Significato Nella locuzione ‘in tralice’, di traverso, obliquamente, di sottecchi
Etimologia dal latino trilix ‘formato da tre fili’, composto di tres ‘tre’ e licium ‘filo’.
Parola pubblicata il 04 Maggio 2019
tra-lì-ce
Significato Nella locuzione ‘in tralice’, di traverso, obliquamente, di sottecchi
Etimologia dal latino trilix ‘formato da tre fili’, composto di tres ‘tre’ e licium ‘filo’.
Parola pubblicata il 04 Maggio 2019
La prima cosa da dire di questa parola riguarda l’accento: si dovrebbe dire tralìce, e non tràlice. Tecnicamente perché nel caso accusativo del latino trilix, da cui deriva il nostro ‘tralice’, la quantità della ‘i’ è lunga (trilīcem), e per una celebre regola, se la penultima sillaba è lunga, l’accento cade su di essa. Poeticamente perché il tralice descrive un traverso sfuggente ma non frettoloso, e non ci si può precipitare ad accentare la prima sillaba, dando alla parola l’aura febbrile della sdrucciola invece di quella studiata della piana. Tralìce.
Riferita soprattutto allo sguardo, nella locuzione ‘in tralice’, mostra non solo i significati fisici dello sguardo traverso, ma anche e soprattutto quelli psicologici. Guardare qualcuno in tralice significa sì che non lo stiamo guardando a viso aperto, faccia a faccia, ma vuole anche dire che lo stiamo osservando con sospetto, con diffidenza o sprezzo, o magari con malizia, con complicità, o è proprio un modo con cui cerchiamo di catturarne l’attenzione, un modo di ammiccare. Il concetto di ‘obliquo’, ricordiamolo, è un concetto primo, archetipico: l’obliquo è nascosto, doppio, ambiguo, bieco, il retto è palese, integro, trasparente, benevolo. Così durante la serata teniamo sempre un occhio in tralice sulla persona che non possiamo sopportare per vedere che fa e poi sparlarne, l’amica mi lancia uno sguardo in tralice quando mi scappa uno sproposito per farmene accorgere, e quando c’è la persona che segretamente ci fa impazzire la guardiamo sempre, almeno in tralice.
La nave potrebbe sembrare in porto ma non lo è per niente. Arriva ora il difficile: da dove diamine salta fuori questo ‘tralice’? Ebbene, ha un fratello, che è il traliccio. Il traliccio per noi è di solito l’incastellatura che regge i fili dell’alta tensione, ma prima d’essere incastellatura era stato reticolo, un graticcio di sostegno per l’edilizia, e prima di questo un tessuto resistente e rozzo per far sacchi, foderare materassi. Il traliccio ci parla di una trama, e il suo nome scaturisce dal trilix latino, letteralmente ‘formato da tre licci’, cioè da tre fili. Pare (ma qui la ricostruzione è un po’ lacunosa) che il verso di lavorazione di questo tessuto non fosse dritto, ma obliquo. Ancora oggi il tralice è, in tessitura, il verso obliquo di una trama, per intendersi quello in cui si può tirare una pezza deformandola, a quarantacinque gradi rispetto agli incroci ortogonali dei fili.
Un obliquo tramato, un obliquo che si stira, come uno sguardo in tralice.