Triboelettricità
tri-bo-e-let-tri-ci-tà
Significato In fisica, fenomeno (detto anche effetto triboelettrico) per cui un corpo accumula elettricità statica a seguito di strofinio contro un altro corpo
Etimologia da triboelettrico, grecismo moderno composto dalle parole tríbo ‘sfregare’ e da elettrico, derivato di élektron ‘ambra’.
Parola pubblicata il 12 Gennaio 2024
Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti
La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.
L’aggettivo triboelettrico ha una storia bizzarra: descrive un fenomeno conosciuto fin dalla più remota antichità, ma è attestato solo a partire dal 1930; viceversa, il sostantivo triboelettricità è addirittura successivo, del 1961! La loro chiave di lettura risiede nel prefissoide ‘tribo’, che non ha niente a che fare, come si potrebbe pensare, con il latino tribulare ‘opprimere, tormentare’ ma, come descritto nell’etimologia, con il greco tribo, ‘sfregare’.
In effetti si tratta del fenomeno ben noto per cui certi materiali, come il vetro, quando vengono strofinati si caricano di un’elettricità statica che può attrarre pagliuzze o piccole piume, nonché far scoccare scintille sulla pelle dell’incauto sperimentatore – anche se lo stesso accade ai comuni mortali, ad esempio quando scendiamo dall’automobile, o ci sfiliamo il maglione di lana in giornate in cui l’aria è particolarmente secca.
Il primo filosofo della natura di cui si conosca un interesse per questi fenomeni fu Talete di Mileto, vissuto fra il VII ed il VI secolo a.C. Egli andava alla ricerca dell’anima di tutte cose, non curandosi del fatto che fossero vive o inanimate; ed infatti secondo lui era proprio a causa di un’anima, se il ferro si muoveva verso un magnete, oppure se fenomeni in qualche misura simili accadevano con oggetti elettricamente carichi. Tuttavia, dopo questo promettente inizio, le conoscenze in merito all’effetto triboelettrico (sfregamento, attrazione, scariche elettriche) non progrediranno nei due millenni successivi.
In tempi moderni fu l’inglese William Gilbert a pubblicare, nel 1601, il trattato ‘De magnete’ nel quale vengono finalmente separate le due classi di fenomeni, relativi a magnetismo ed elettricità. Mentre i primi avevano un nome ormai classico che derivava dalla magnetite, minerale che si estraeva nelle vicinanze della città di Magnesia in Asia Minore (l’odierna Manisa), mancava un nome per i secondi; allora il Gilbert, nell’immaginare l’esistenza di un fluido elettrico, gli assegnò un nome che derivava dal nome greco dell’ambra: élektron, la sostanza che usava per i suoi esperimenti.
L’opera di Gilbert darà il via a molte altre ricerche, come quelle di poco successive del nostro Niccolò Cabeo che scopre la repulsione elettrica (quella magnetica era nota dall’antichità). Nel giro di altri cento anni si accumulerà la conoscenza di un imponente catalogo di fenomeni, sempre più complessi e sempre più difficili da interpretare, con notevoli analogie nonché differenze rispetto al magnetismo. Ecco un’analogia: così come nel magnetismo ci sono un nord e un sud, ad un certo punto si comprenderà che esistono due tipi di elettricità statica, positiva e negativa; ed una differenza: i fenomeni magnetici noti all’epoca erano permanenti, mentre quelli elettrici potevano essere generati o annullati a piacimento – e persino trasferiti da un corpo ad un altro.
Per quanto riguarda l’elettricità, un passo avanti verso la sua comprensione si dovrà a Benjamin Franklin, il primo ad intuire che le due polarità elettriche erano causate da un unico fluido, il cui eccesso o difetto causava appunto le due polarità, mentre in caso di perfetto equilibrio cessava ogni fenomeno elettrico. In effetti è proprio così: per i più curiosi, diremo in due parole come stanno le cose.
Ogni materiale è composto di elettroni che orbitano intorno ai nuclei degli atomi a cui appartengono, rimanendo legati ad essi da forze più o meno intense a seconda del tipo di sostanza. Prendiamo in considerazione due materiali diversi, elettricamente scarichi. Quando li avviciniamo fino a toccarsi fra loro, gli elettroni della sostanza a cui sono legati in maniera debole possono spostarsi su atomi di una sostanza che li attragga maggiormente; dunque dopo il distacco, una sostanza disporrà di qualche elettrone in più, diventando negativa, mentre l’altra diventerà positiva per carenza degli stessi. Lo sfregamento (ricordate il prefissoide tribo?) comporta una ripetuta serie di unioni e separazioni, con reiterato trasferimento di elettroni da una sostanza all’altra, e accumulo di cariche sempre maggiori: è il caso dei fulmini, causati proprio da enormi accumuli di elettricità atmosferica
Certo Franklin non poteva immaginare l’esistenza degli elettroni, comunque la sua idea di un fluido elettrico in linea di massima era giusta. Ma a proposito degli elettroni sorge un’altra domanda: perché essi hanno carica elettrica negativa?
Come dicevamo, l’utilizzo di varie sostanze negli esperimenti aveva portato alla scoperta delle triboelettricità positiva e negativa, ed al vetro era stata assegnata, del tutto arbitrariamente, quella positiva. Successivamente si scoprirà che il vetro tende a cedere elettroni; di conseguenza, se perdendo elettroni il vetro diventa positivo, vuol dire i nuclei degli atomi che rimangono al loro posto sono positivi, e che gli elettroni che se ne allontanano sono negativi.
E l’ambra, la sostanza che ha dato il nome a tutti i fenomeni elettrici? Ebbene essa gli elettroni li accetta volentieri in prestito, diventando negativa. Dunque continua a prestare il nome a tutti fenomeni elettrici - ma in cambio gradisce di essere ripagata… in elettroni!