SignificatoOpera pittorica o scultorea divisa in tre parti incernierate tra loro; opera in tre parti, insieme di tre opere connesse
Etimologia dal greco trìptykos, propriamente ‘piegato in tre’, composto di tri- e ptyké ‘piega’.
Il trittico per eccellenza è un’opera d’arte sacra, che il più delle volte consiste in un insieme di tre dipinti, di cui uno centrale più grande e due laterali ad esso incernierati (vere e proprie ante, talvolta chiudibili). Tipicamente la vocazione del trittico è quella di ornare gli altari delle chiese, ma può anche essere portatile. Siamo quindi davanti a un’opera non semplicemente tripartita, ma composta di tre parti fisicamente collegate fra di loro. E da qui l’uso figurato corre.
Il trittico diventa tanto l’opera divisa in tre parti quanto un insieme di tre opere in qualche modo collegate. Nel primo caso saremmo più comunemente portati a scegliere il termine trilogia - ma non sono perfettamente sovrapponibili. Mentre la trilogia è un discorso che continua in tre parti, il trittico ha una decisa componente statica. Le sue tre parti sono incernierate sì, e costituiscono un disegno più grande, ma sono volentieri autonome, e comunque non risuonano di un’eco organica: tant’è che diventa un trittico anche la connessione di tre lavori (perfino tre oggetti) distinti. Pensiamo al celebre Trittico di Puccini: Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, tre opere in un atto che fanno parte di una serie ma che in sé non sono collegate fra loro.
Così il poeta scrive un trittico per la commemorazione cittadina, il regista conclude il suo trittico di successo, il menu essenziale è condensato in un trittico ricercato, l’artigiano fonde un trittico di candelabri. Tre luci su tre tavole incardinate.
(Peraltro nell’antichità classica il termine trittico descriveva un antesignano del blocco per appunti: tre tavolette cerate - su cui venivano tracciate le parole - incernierate fra loro e quindi ripiegabili. Altro che Moleskine.)
Il trittico per eccellenza è un’opera d’arte sacra, che il più delle volte consiste in un insieme di tre dipinti, di cui uno centrale più grande e due laterali ad esso incernierati (vere e proprie ante, talvolta chiudibili). Tipicamente la vocazione del trittico è quella di ornare gli altari delle chiese, ma può anche essere portatile. Siamo quindi davanti a un’opera non semplicemente tripartita, ma composta di tre parti fisicamente collegate fra di loro. E da qui l’uso figurato corre.
Il trittico diventa tanto l’opera divisa in tre parti quanto un insieme di tre opere in qualche modo collegate. Nel primo caso saremmo più comunemente portati a scegliere il termine trilogia - ma non sono perfettamente sovrapponibili. Mentre la trilogia è un discorso che continua in tre parti, il trittico ha una decisa componente statica. Le sue tre parti sono incernierate sì, e costituiscono un disegno più grande, ma sono volentieri autonome, e comunque non risuonano di un’eco organica: tant’è che diventa un trittico anche la connessione di tre lavori (perfino tre oggetti) distinti. Pensiamo al celebre Trittico di Puccini: Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, tre opere in un atto che fanno parte di una serie ma che in sé non sono collegate fra loro.
Così il poeta scrive un trittico per la commemorazione cittadina, il regista conclude il suo trittico di successo, il menu essenziale è condensato in un trittico ricercato, l’artigiano fonde un trittico di candelabri. Tre luci su tre tavole incardinate.
(Peraltro nell’antichità classica il termine trittico descriveva un antesignano del blocco per appunti: tre tavolette cerate - su cui venivano tracciate le parole - incernierate fra loro e quindi ripiegabili. Altro che Moleskine.)