Asparizione

Parole d'autore

a-spa-ri-ziò-ne

Significato Comparsa di qualcosa seguita quasi simultaneamente dalla sua scomparsa; paradossale manifestazione di una cosa nella sua assenza

Etimologia incrocio di ‘apparizione’ e ‘sparizione’, coniato da Giorgio Caproni in Il franco cacciatore (1982) e ripreso nel Conte di Kevenhüller (1986).

Questa parola, diciamolo subito, non si trova nei vocabolari; eppure è così evocativa, nella sua semplicità, che è un peccato lasciarne a Caproni l’uso esclusivo.

Il suo significato a prima vista è elementare: una cosa appare giusto il necessario per essere intravista. È un’asparizione quella dell’uccellino che ci frulla di fianco sul sentiero di montagna, o quella del passante che ci supera frettoloso in una giornata di nebbia.

Ma le asparizioni possono verificarsi anche se siamo soli in una stanza vuota. Per esempio quando affiorano nel nostro pensiero i tanti ‘io’ che ci compongono: le persone che ciascuno di noi è stato nel passato, quelle che avrebbe potuto essere, quelle che desidera o teme di essere. Tale è appunto l’oggetto di Oh cari, la prima delle poesie del Conte di Kevenhüller che Caproni intitola Asparizioni.

Se poi fossimo di umore particolarmente meditativo, potremmo anche interpretare ogni elemento della vita come un’asparizione, creata e subito disfatta dal rapido divenire del tempo. È la riflessione insita in molte poesie di Caproni, che mettono a nudo l’inconsistenza delle cose: “Dalle crepe / del nulla, filtravano / nell’apparenza” (Pasqua di Resurrezione).

D’altra parte ‘asparizione’ possiede anche un diverso significato: è la comparsa di qualcosa proprio in virtù della sua assenza. Può sembrare un concetto astruso ma, nella realtà, è comunissimo.

Tutte le mattine il signor Rossi esce per andare al lavoro e passando scambia un saluto con la portinaia. La scena si ripete ormai da anni in automatico. Un giorno però la portinaia resta a letto con l’influenza; ed ecco che, all’improvviso, il signor Rossi vede l’assenza della portinaia. Proprio per il fatto di non esserci, lei è assai più presente del giorno prima.

L’asparizione può avere anche un volto drammatico, purtroppo noto a chiunque abbia subìto un lutto. Ci sono momenti in cui il vuoto diventa quasi tangibile: basta un attimo – un odore associato a un certo ricordo, un’esperienza bella che in altri tempi si sarebbe condivisa – e la persona mancante ‘aspare’ davanti a noi, dolorosamente irraggiungibile.

Le raccolte mature di Caproni, fino alla postuma Res amissa (la “cosa perduta”), si incentrano proprio su questa dinamica, salvo che l’oggetto dell’asparizione è di natura ben più misteriosa. Neppure il poeta sa bene di cosa si tratti: forse è Dio, forse è l’essenza profonda delle cose (quella che Kant chiamava il noumeno). L’unica certezza è che al centro dell’esistenza c’è un vuoto, qualcosa di innominabile che brilla per la sua assenza. Nulle sono, parrebbe, le possibilità di raggiungerlo; perciò la sua mancanza irradia un’artigliante disperazione.

Tuttavia la parola di Caproni ha un’ultima sfumatura da regalarci. Forse la “cosa perduta” non è realmente assente: i nostri occhi sono incapaci di coglierla, per questo ci appare come uno spazio vuoto o, al massimo, come qualcosa di sfarfallante ai margini del campo visivo.

Proprio l’asparizione allora potrebbe essere la modalità con cui si rivela la “cosa perduta”, che può essere trovata solo da chi non pretende di catturarla. Almeno così suggerisce l’ultima delle Asparizioni, Versi controversi,: “Godilo e non lo cercare / se non vuoi perderlo… / […] Là in fronte / a te, anche se non lo puoi arrivare… / Negalo, se lo vuoi trovare… / Inventalo… / Non lo nominare…”

Parola pubblicata il 22 Marzo 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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