SignificatoChe riguarda l’anestesia; di farmaco, che abolisce la sensibilità al dolore; che calma un dolore
Etimologia da anestesia, che è dal greco anaisthesía ‘mancanza di sensazione’, derivato di áisthesis ‘sensazione’, con an- privativo.
Il trattamento estetico ci rende più belli (forse), invece quello anestetico serve a levarci la sensibilità al dolore, e solo talvolta ci rende più brutti (come quello che facciamo dal dentista e che ci lascia la bocca storta per qualche ora). Perché, qual è il rapporto fra ‘anestetico’ ed ‘estetico’? Rispondendo a questa domanda si possono capire meglio entrambe le parole, parenti che hanno preso strade molto diverse: una si è iscritta a medicina, l’altra a filosofia.
L’anestetico fa la sua comparsa in italiano tardi; in quegli anni la capitale del Regno è Firenze. Ma era già da una cinquantina d’anni che si parlava di anestesia, ossia dell’eliminazione temporanea della sensibilità al dolore — uno dei più grossi scogli al progresso della pratica chirurgica. La fame di nomi della rampante scienza medica battezzava (quasi) tutto con nomi mutuati dal greco antico, una lingua da cui più o meno tutte le lingue d’Europa erano e sono abituatissime ad adattare prestiti; infatti il successo di questo nome probabilmente è da trovarsi nell’uso inglese, ma ciascuna lingua è andata a prendere il proprio termine direttamente dal greco.
L’anestesia è etimologicamente la mancanza di sensazione, l’insensibilità. E il significato medico è molto fedele a quello etimologico: chi subisce un’anestesia totale perde i sensi — espressione un po’ cristallizzata ma che qui possiamo cogliere nella sua prima vivacità. E quello del dolore (la ‘nocicezione’) è un senso. L’anestetico diventa quindi il farmaco che ha questo effetto e figuratamente ciò che toglie o allevia un dolore, più con ottundimenti nebbiosi della mente piuttosto che con soluzioni a monte. È la sensazione del dolore (insieme alle altre) che l’anestetico toglie: non la sua causa. Così davanti all’ingiustizia possiamo abbandonarci all’anestetico della rabbia, ci rifugiamo nell’anestetico di un’ossessione, e con parole anestetiche si cercano di sedare gli animi accesi.
Poi in greco l’anaisthesía era anche l’insensatezza, la stupidità: il nesso di intontimento s’intende, ma questa è un’altra storia. piuttosto è interessante come l’estetico abbia invece preso spazio rispetto all’aisthetikós: in sé significherebbe semplicemente ‘che ha facoltà di sentire’. Ma nel Settecento, specie sulla scorta dei lavori del filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten (che coniò in latino il termine aesthetica), la suggestione della sensazione fu volta sulla nuova branca della filosofia che, ragionando di stili, di rapporti fra soggetto e oggetto, di percezioni, verteva e verte sul ‘bello’. In effetti, una sensazione delle più misteriose.
Perciò l’estetico e l’anestetico non sono speculari come lo scarto di un semplice prefisso privativo farebbe pensare: perché il mondo è grande e le loro risorse, che aspettavano silenziose nei classici, sono servite in tempi diversi come nomi per la nuova fantasia di diversi studi.
Il trattamento estetico ci rende più belli (forse), invece quello anestetico serve a levarci la sensibilità al dolore, e solo talvolta ci rende più brutti (come quello che facciamo dal dentista e che ci lascia la bocca storta per qualche ora). Perché, qual è il rapporto fra ‘anestetico’ ed ‘estetico’? Rispondendo a questa domanda si possono capire meglio entrambe le parole, parenti che hanno preso strade molto diverse: una si è iscritta a medicina, l’altra a filosofia.
L’anestetico fa la sua comparsa in italiano tardi; in quegli anni la capitale del Regno è Firenze. Ma era già da una cinquantina d’anni che si parlava di anestesia, ossia dell’eliminazione temporanea della sensibilità al dolore — uno dei più grossi scogli al progresso della pratica chirurgica. La fame di nomi della rampante scienza medica battezzava (quasi) tutto con nomi mutuati dal greco antico, una lingua da cui più o meno tutte le lingue d’Europa erano e sono abituatissime ad adattare prestiti; infatti il successo di questo nome probabilmente è da trovarsi nell’uso inglese, ma ciascuna lingua è andata a prendere il proprio termine direttamente dal greco.
L’anestesia è etimologicamente la mancanza di sensazione, l’insensibilità. E il significato medico è molto fedele a quello etimologico: chi subisce un’anestesia totale perde i sensi — espressione un po’ cristallizzata ma che qui possiamo cogliere nella sua prima vivacità. E quello del dolore (la ‘nocicezione’) è un senso. L’anestetico diventa quindi il farmaco che ha questo effetto e figuratamente ciò che toglie o allevia un dolore, più con ottundimenti nebbiosi della mente piuttosto che con soluzioni a monte. È la sensazione del dolore (insieme alle altre) che l’anestetico toglie: non la sua causa. Così davanti all’ingiustizia possiamo abbandonarci all’anestetico della rabbia, ci rifugiamo nell’anestetico di un’ossessione, e con parole anestetiche si cercano di sedare gli animi accesi.
Poi in greco l’anaisthesía era anche l’insensatezza, la stupidità: il nesso di intontimento s’intende, ma questa è un’altra storia. piuttosto è interessante come l’estetico abbia invece preso spazio rispetto all’aisthetikós: in sé significherebbe semplicemente ‘che ha facoltà di sentire’. Ma nel Settecento, specie sulla scorta dei lavori del filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten (che coniò in latino il termine aesthetica), la suggestione della sensazione fu volta sulla nuova branca della filosofia che, ragionando di stili, di rapporti fra soggetto e oggetto, di percezioni, verteva e verte sul ‘bello’. In effetti, una sensazione delle più misteriose.
Perciò l’estetico e l’anestetico non sono speculari come lo scarto di un semplice prefisso privativo farebbe pensare: perché il mondo è grande e le loro risorse, che aspettavano silenziose nei classici, sono servite in tempi diversi come nomi per la nuova fantasia di diversi studi.