Medico
Le parole della storiografia
mè-di-co
Significato Chi esercita la professione medica
Etimologia dal latino medicus, a sua volta derivato di medeor ‘curo le malattie’.
Parola pubblicata il 23 Settembre 2016
Le parole della storiografia - con Alessandra Quaranta
Con Alessandra Quaranta, giovane dottoressa di ricerca in Storia, un venerdì ogni due vedremo quali sorprese sappia riservare un approccio storiografico alle parole più consuete.
Il rango eccelso del medico e il carattere sacro della guarigione sono propri di tutte le culture antiche: il medico era considerato un semi-dio, perché aveva ereditato un potere-sapere divino: quello di restituire la salute. L’onda lunga di tale aura di sacralità continua a manifestarsi in consuetudini medievali e ancora dei secoli successivi, come quella di elargire doni al medico: doni di gratitudine e di riverenza da parte del paziente, ma anche doni sostitutivi del compenso pecuniario.
Europa, inizio del XIV secolo: guai a confondere il medicus-physicus con il medicus-chirurgus.
Il medico-fisico era colui che conseguiva la Laurea in Medicina e Filosofia, titolo che a sua volta denunciava lo stretto legame strutturale tra le due discipline. La medicina occidentale, infatti, mutuò sin dalle sue origini ippocratico-galeniche schemi e princìpi argomentativi della filosofia, dai quali si affrancò soltanto gradatamente: ‘Quod optimus medicus sit quoque philosophus’ (‘Che il miglior medico sia anche filosofo’).
Il medico-chirurgo invece non disponeva della medesima preparazione accademica, né del medesimo titolo; aveva competenze diverse e spesso complementari a quelle del medico. Il chirurgo era adibito alle umili operazioni della flebotomia e della chirurgia, non considerate degne di un medico.
Nel Trecento i chirurghi erano ammessi nell’Arte dei Medici e degli Speziali, dove ricoprivano ruoli decisionali importanti. Con la progressiva crescita di autoconsapevolezza della categoria dei medici-fisici, però, questi ultimi cominciarono a rivendicare anche a livello giuridico e statutario la specificità e l’autorevolezza delle proprie competenze, con il risultato che alla fine del secolo i chirurghi furono estromessi dall’Arte. Parallelamente si fecero sempre più restrittivi i criteri per poter esercitare la professione medica.
Tale tendenza si sviluppò anche in risposta all’estrema eterogeneità della categoria medica, nella quale figuravano empirici (medici che si ispiravano esclusivamente all’esperienza e all’osservazione diretta, trascurando le auctoritates della medicina classica), medici popolari, ciarlatani, pseudo-medici, che andavano ad aggiungersi a una ‘dimensione domestica della cura’: ospedali, monasteri, e persino singoli privati si cimentarono nel corso dei secoli nella produzione di sciroppi ed elettuari (preparati farmaceutici da ingerire, ottenuti mescolando più sostanze, il cui sapore veniva poi addolcito con l’aggiunta di miele).
Accadeva spesso che medici e chirurghi si rimbeccassero fra di loro: del resto, se da una parte nel Cinquecento si cominciò a interrogarsi sul grado di ‘scientificità’ della scienza medica, immaginiamo come potesse operare un chirurgo se le conoscenze anatomo-fisiologiche iniziavano appena allora ad aderire alla realtà del corpo!
E sull’affidabilità di medici e chirurghi si innesta il discorso sull’aspetto deontologico della professione medica. L’importanza del cosiddetto Giuramento di Ippocrate risiede nell’aver dotato di capisaldi morali la medicina, che proprio la scuola ippocratica per prima elevò a livello di ‘scienza’. Ma non facciamoci ingannare dalla bontà di questo testo: i medici erano spesso accusati di fatto di incompetenza e avidità; lo stesso Galeno, medico greco vissuto nel II secolo d. C., lamentava che gli ammalati, per essere curati, non consultavano i medici, avventati e oltremodo ambiziosi, bensì i propri servi! E ancora Molière, nella commedia Amour médecin (1665), fa raccontare all’arguta servetta Lisette di aver conosciuto un uomo che sosteneva un tale fosse morto di ‘quattro medici e due farmacisti’!