Umile
ù-mi-le
Significato Che si alza poco da terra; di bassa estrazione; modesto, dimesso; meschino, vile; che è consapevole dei propri limiti e non inorgoglisce per le proprie virtù
Etimologia voce dotta recuperata dal latino humilis ‘basso’, da humus ‘terra’.
- «È una grande, che però è sempre rimasta umile.»
Parola pubblicata il 14 Maggio 2025
I significati dell’humilis latino danno l’impressione di essere variegati, ma si muovono tutti nella medesima direzione. Si nota che il nesso con l’humus, cioè la terra, è molto più chiaro e presente — l’humilis è innanzitutto il basso, ciò che si leva poco dal suolo. Applicato all’essere umano, dà il profilo di una condizione bassa, sottomessa, priva di considerazione, perfino pusillanime e vile.
Che distanza abissale con le conquiste di significato ulteriori. Beninteso, la matrice originaria non viene persa, e l’umile continua a comunicare una galassia di bassezze. Però, famosamente, diventa anche la qualità di chi o ciò che è consapevole dei propri limiti, e non cresce in orgoglio per le proprie virtù — insomma si fa qualità positiva.
Solo in una lingua molto ricercata, letteraria, posso parlare di piante umili nel senso di poco elevate — pensiamo alle umili pervinche ai piedi della siepe, che pure hanno un colore superbo. L’umile si conserva però di bassa estrazione, e quindi parliamo di origini umili; si muove intorno al dimesso, e quindi parliamo di una casa umile, e di un umile impiego; inoltre scende fino al meschino — quando parliamo dei lavori più umili parliamo spesso di mansioni che consideriamo spiacevoli, se non vili. È anche ubbidiente, rispettoso, remissivo, come l’umile assistente.
Di mezzo, fra latino e lingue successive, c’è una ben nota rivoluzione morale e ideologica di matrice religiosa. Non solo fa aggio sull’idea che l’essere umano sia soffio divino e terra, ma legge nella condizione bassa, che non insuperbisce, che accoglie il proprio limite dinanzi agli altri esseri umani e a Dio, la dignità di una virtù altissima. L’aggettivo ‘umile’ si mostra particolarmente in grado di raccogliere la sfida di questo difficile significato.
Ne avremmo altre, di parole che insistono qui. Innanzitutto il modesto, che pare molto, molto vicino all’umile. Ma il modesto, col suo riferimento al modo e quindi alla misura, non la dice tutta, o forse anzi ne dice troppa; infatti si presta al pudico — pensiamo alla figura vieta della ragazza modesta — e a usi d’asteismo: il modesto spesso evita il vanto e la vistosità con un atteggiamento più vicino all’understatement. E quando non lo fa, può restare un’ambiguità sul fatto che valga poco davvero: una persona che è rimasta umile è accessibile e può essere straordinaria, una persona che è rimasta modesta può essere ancora una mezza tacca. L’umile (paradosso stupendo) ha un’autentica maestà morale, che il modesto non ha.
Il dimesso d’altro canto ha un respiro molto minore, una semplicità scarna che non accede in modo tanto immediato a una dimensione morale. Per non parlare della lontananza che si apre con meschinità e abiezione, che tendono al riprovevole.
L’umile parla chiaro, e in maniera coraggiosa: ha una premessa di significato cristallina, solidamente negativa, che abbraccia interamente per rovesciarlo in una mossa di judo morale. Un basso basso quanto può essere la terra, che scivola nell’abietto, rivendicato in maniera pungente in un senso positivo.
Lo notiamo in maniera ricorrente: abbiamo una batteria sterminata di parole per nominare le sfumature più nette e gonfie della superbia. Per il contrario ne abbiamo meno, e più problematiche, che richiedono di essere ben appuntite, per dire la cosa giusta.
Così posso parlare della persona di grande successo che si conserva umile, della trattazione che si avvicina al tema delicatissimo in modo molto umile, della persona potente che ascolta la gente con umiltà.
Potenza di descrizione e di pensiero e di sentimento che scaturisce da un’immagine di vicinanza alla terra. Senz’altro un’immagine umile.