SignificatoOrganismo dotato di sensi e capace di muoversi; proprio dell’anima
Etimologia dal latino: animal derivato di anima anima, affine al greco: anemos vento, soffio e al sanscrito ātman col medesimo significato.
Parola usata, parola normale - eppure antichissima e complessa.
L’animale è uno dei grandi regni naturali in cui dividiamo il mondo (lo sappiamo dalle elementari), e oltre al moto e ai sensi, possiamo attribuirgli caratteri più specifici: l’animale comprende gli organismi eterotrofi (cioè che non sintetizzano il proprio nutrimento a partire da sostanze inorganiche) le cui cellule siano differenziate.
L’animale è quindi l’essere complesso che vive del vivente. Non ha la serena immobilità della pianta, né la sua leggera autosufficienza - che campa di minerali, acqua e luce: l’animale è quello che non si basta, è il peripatetico in perenne ricerca fuori da sé. Per mangiare, per riprodursi, per amare.
L’etimologia ci racconta poi una qualità fondamentale dell’animale, la più evidente e la più affratellante: il respiro. L’immagine della vita che si anima col primo soffio che apre i bronchi, e poi la concezione di quello stesso soffio come essenza universale della vita è qualcosa che taglia trasversalmente tutte le grandi culture umane: dall’anima occidentale all’ātman indiano al qi e al ki cinese e giapponese, tutte queste parole hanno lo stesso significato intimo.
L’animale diventa allora chi spartisce questo respiro con coscienza via via maggiore - fratelli di grado in grado più responsabili.
Questa parola, come aggettivo, viene spesso usata in senso dispregiativo. Se dico che a tavola mi comporto come un animale nessuno pensa bene. Ma “animale” è molto neutro - e racconta bene la pienezza rotonda degli istinti, in senso buono e in senso meno buono. Se si vuol dispregiare senza sottigliezze è meglio usare bestia.
Parola usata, parola normale - eppure antichissima e complessa.
L’animale è uno dei grandi regni naturali in cui dividiamo il mondo (lo sappiamo dalle elementari), e oltre al moto e ai sensi, possiamo attribuirgli caratteri più specifici: l’animale comprende gli organismi eterotrofi (cioè che non sintetizzano il proprio nutrimento a partire da sostanze inorganiche) le cui cellule siano differenziate.
L’animale è quindi l’essere complesso che vive del vivente. Non ha la serena immobilità della pianta, né la sua leggera autosufficienza - che campa di minerali, acqua e luce: l’animale è quello che non si basta, è il peripatetico in perenne ricerca fuori da sé. Per mangiare, per riprodursi, per amare.
L’etimologia ci racconta poi una qualità fondamentale dell’animale, la più evidente e la più affratellante: il respiro. L’immagine della vita che si anima col primo soffio che apre i bronchi, e poi la concezione di quello stesso soffio come essenza universale della vita è qualcosa che taglia trasversalmente tutte le grandi culture umane: dall’anima occidentale all’ātman indiano al qi e al ki cinese e giapponese, tutte queste parole hanno lo stesso significato intimo.
L’animale diventa allora chi spartisce questo respiro con coscienza via via maggiore - fratelli di grado in grado più responsabili.
Questa parola, come aggettivo, viene spesso usata in senso dispregiativo. Se dico che a tavola mi comporto come un animale nessuno pensa bene. Ma “animale” è molto neutro - e racconta bene la pienezza rotonda degli istinti, in senso buono e in senso meno buono. Se si vuol dispregiare senza sottigliezze è meglio usare bestia.