Entusiasmo

en-tu-sià-smo

Significato Sentimento intenso di gioia, esaltazione, ammirazione, slancio, ardore

Etimologia dal greco enthusiasmós ‘invasamento’, derivato di enthousiázein ‘essere ispirato, invasato’, a sua volta derivato di éntheos ‘ispirato da un dio’, che è da theós ‘dio’ col prefisso en- ‘dentro’.

Proviamo a dire qualcosa in più, su questa parola, qualcosa che ci porti a scoprire qualcosa dietro la prima impressione di meraviglia destata dall’etimo.

Già perché l’entusiasmo è un sentimento di potenza suprema — con versanti e picchi di ammirazione, di esaltazione, di gioia che non sono raggiunti da nessun altro sentimento — e si tratta di un termine di origine greca: enthusiasmós significa ‘invasamento’, il verbo enthusiázo è un ‘essere ispirato’ di tenore superno, e deriva da un éntheos che ci consegna il significato di un ‘ispirato da un dio’. È molto facile qui fare un salto e collegare direttamente un’antica possessione celeste con quel sentimento che ha tutta l’aria di un accesso alla parte divina di noi: è precisamente il modo in cui ce lo viviamo, tutto presenza, tutto slancio. Ma la via dei secoli è lunga, e ciò che noi concepiamo in un battito di ciglia può aver richiesto una maturazione lunga come tutta la storia della nostra civiltà.

Nell’antichità l’entusiasmo era letteralmente un tipo di estasi, un’esaltazione ispirata dall’invasamento e magari dallo stesso rito, dalle sue musiche e dalle sue droghe, a carattere sacerdotale. In italiano, così come nelle altre lingue d’Europa (francese in primis), l’entusiasmo ricompare insieme alla lingua greca antica, e quindi con particolare vigore solo a partire dal XVI secolo. Ovviamente ricompare col suo significato più tecnico, ma propaga subito delle estensioni — ad esempio, la follia. Già, fino all’Ottocento l’entusiasmo è anche un tipo di malattia — una frenesia, un delirio. Dopotutto, come vogliamo giudicare questi antichi che pazziano intorno alle statue di divinità pagane? Leggendo il passato usiamo i nostri criteri.

E però la presa è troppo forte, troppo netta e precisa la descrizione di questa commozione capace di prendere noi esseri umani. La rappresentazione di quel fervore impareggiabile che è — specie arcaicamente tutto insieme — religioso e poetico, musicale e profetico, trascendente e mai come in altri momenti confitto nel corpo. Si afferma sopra all’uso storico e contro l’uso peggiorativo con la semplice evidenza di questa corrispondenza. E questo avviene in parallelo, senz’altro anche mercé qualche eco, in lingue diverse (pensiamo alla parabola dell’enthusiast inglese, da peggiorativo di chi si ritiene depositario di una rivelazione o comunicazione superiore, al semplice appassionato).

Ciò che si raccoglie dal passato si raccoglie da un milieu, da un ambiente di un certo tipo, da una situazione, e non si può credere né che fosse astratto né che si possa conservare astratto: perde subito l’identità precedente e subito s’impasta di giudizi e connotazioni nostrane. Ma certe volte l’intuizione si conserva in piedi, come fanno rare volte le colonne dei tempi andati. Certe volte abbiamo proprio l’impressione di capire il passato, e forse, di quando in quando, lo capiamo davvero.

L’entusiasmo con cui ti racconto il viaggio che ho fatto o con cui studio una nuova disciplina, l’entusiasmo del pubblico venuto ad ascoltare il concerto dell’artista che tanto ama, l’entusiasmo acceso dalla scena del film che non ti fa restare a sedere, l’entusiasmo suscitato da una notizia che sa di benedizione, insomma i nostri entusiasmi ci fanno acquisire, se abbiamo lo sguardo e l’orecchio giusto, il profilo di chi batteva la terra col piede accogliendo in sé il superiore, e pronunciandolo, intonandolo, manifestandolo, scaricandolo braccia in alto — e ricordandolo con devozione quando fosse passato. Mica male, l’entusiasmo.

Parola pubblicata il 24 Agosto 2023