SignificatoNel diritto augurale romano, atto con cui luoghi sacri o persone consacrate venivano sconsacrati; sconsacrazione
Etimologia dal lat. exauguratio -onis, der. di exaugurare «sconsacrare».
Ecco: in questa parola troviamo un pezzo di puzzle che non immaginavamo nemmeno mancasse. L’atto dell’inauguare ci è familiare, e ci è familiare lo sciagurato, ma l’esaugurazione no. Eppure si incastra proprio lì, ed è stupenda.
Nelle antiche liturgie degli àuguri romani l’esaugurazione era il contrario dell’inaugurazione: ciò che questa rendeva sacro - come il perimetro di un tempio, o una persona che si votava a un culto - l’esaugurazione rendeva nuovamente profano. Sulle rovine del tempio dismesso si poteva costruire altro solo dopo la sua esaugurazione; le vestali, dopo trent’anni di onorato servizio spesi a star dietro al fuoco sacro, potevano essere esaugurate e prendere marito. A tutti gli effetti l’esaugurazione è una sconsacrazione.
Ora, si capisce perché questo termine non sia comunemente riferito a luoghi sacri della religione cristiana, o perché si preferisca dire che il sacerdote si è ‘spretato’: è propriamente una categoria pagana. Invece è molto curioso che, in ambito mondano, l’inaugurazione sia così diffusa mentre l’esaugurazione sia ignota. Si inaugura un cinema ma anche quando viene chiuso e venduto per farne cubicoli nessuno lo esaugura. C’è la consacrazione al nuovo uso ma si glissa sulla sua fine. Al massimo qualche locale fa la festa di chiusura. Però si potrebbe celebrare l’esaugurazione di un vizio con un’ultima esagerazione, prima di lasciare la casa dove abbiamo abitato da fuorisede possiamo esaugurarla con gli amici concludendo un capitolo di ricordi, e come si può chiudere un teatro senza esaugurazione?
Resta da capire che c’entra lo sciagurato, ossia lo sventurato, ma è facile: esso scaturisce letteralmente dall’esaugurato. Chi o ciò che è stato abbandonato dal sacro è inevitabilmente volto a un destino più misero.
Ecco: in questa parola troviamo un pezzo di puzzle che non immaginavamo nemmeno mancasse. L’atto dell’inauguare ci è familiare, e ci è familiare lo sciagurato, ma l’esaugurazione no. Eppure si incastra proprio lì, ed è stupenda.
Nelle antiche liturgie degli àuguri romani l’esaugurazione era il contrario dell’inaugurazione: ciò che questa rendeva sacro - come il perimetro di un tempio, o una persona che si votava a un culto - l’esaugurazione rendeva nuovamente profano. Sulle rovine del tempio dismesso si poteva costruire altro solo dopo la sua esaugurazione; le vestali, dopo trent’anni di onorato servizio spesi a star dietro al fuoco sacro, potevano essere esaugurate e prendere marito. A tutti gli effetti l’esaugurazione è una sconsacrazione.
Ora, si capisce perché questo termine non sia comunemente riferito a luoghi sacri della religione cristiana, o perché si preferisca dire che il sacerdote si è ‘spretato’: è propriamente una categoria pagana. Invece è molto curioso che, in ambito mondano, l’inaugurazione sia così diffusa mentre l’esaugurazione sia ignota. Si inaugura un cinema ma anche quando viene chiuso e venduto per farne cubicoli nessuno lo esaugura. C’è la consacrazione al nuovo uso ma si glissa sulla sua fine. Al massimo qualche locale fa la festa di chiusura. Però si potrebbe celebrare l’esaugurazione di un vizio con un’ultima esagerazione, prima di lasciare la casa dove abbiamo abitato da fuorisede possiamo esaugurarla con gli amici concludendo un capitolo di ricordi, e come si può chiudere un teatro senza esaugurazione?
Resta da capire che c’entra lo sciagurato, ossia lo sventurato, ma è facile: esso scaturisce letteralmente dall’esaugurato. Chi o ciò che è stato abbandonato dal sacro è inevitabilmente volto a un destino più misero.