SignificatoMettere in ceppi; impedire, rallentare un movimento, uno sviluppo; bloccare un meccanismo
Etimologia derivato di ceppo, con in- illativo, che esprime un moto a luogo verso un interno.
Non serve un occhio di lince o un orecchio da accordatore per intendere che nell’inceppare c’è il ceppo. Ma la trasparenza del nesso soffre della desuetudine di un certo significato della parola ‘ceppo’. Infatti — attenzione — la stampante inceppata non è quella che è stata fracassata contro un ceppo di quercia dal collega spazientito.
Il ceppo è in effetti la parte inferiore degli alberi, così come il grosso ciocco di legno, ma ha avuto due vocazioni figurate molto diverse. La prima, imperniata sul fatto che dal ceppo si dirama l’albero, lo legge come capostipite, come origine famigliare; la seconda invece lo scopre strumento penale, e quindi pena.
Che servisse come base su cui far poggiare comodamente il collo al condannato per miglior agio della scure del boia o che, adeguatamente spaccato prima e incernierato poi, servisse a bloccare le estremità e quindi impedire la fuga e i movimenti di persone arrestate o messe alla berlina, il ceppo ha preso un profilo poco rassicurante. In particolare il secondo caso ha portato all’espressione ‘mettere in ceppi’ — ed è qui che volevamo arrivare. Non è più un’immagine comune: oggi al massimo si usano manette di metallo.
L’inceppare ci parla di qualcosa che è bloccato così come qualcuno è bloccato coi ceppi ai piedi e alle mani. E be’, in effetti è questo il significato concreto con cui nasce nel Quattrocento, mentre ci vorranno ancora un paio di secoli per i significati figurati.
Curiosamente, però, fra quando emergono nella seconda metà del Seicento e l’inizio del Novecento, questo blocco imposto dall’inceppare ha avuto una sfumatura di colore diversa da quella con cui più comunemente lo usiamo oggi. Avendo vicino il referente dei ceppi del prigioniero, risultava in un impacciare, in un ostacolare, rallentare: se dicevo “Il sentimento mi inceppa la lingua”, esprimevo la difficoltà di movimento della lingua quasi il sentimento me la stesse legando, se dicevo che “La diffidenza verso la nuova tecnologia inceppa la sua diffusione”, mostravo uno sviluppo appesantito, trattenuto.
Invece l’inceppato di oggi è quello della carta nella stampante: qualcosa di incastrato, bloccato meccanicamente. L’inceppare è più consuetamente proprio il bloccare il funzionamento di un meccanismo. Una lingua inceppata pare deragliata in bocca, incastrata nelle fauci e incapace di schioccar parola, l’inceppamento nella diffusione comunica una stortura che arresta il processo pensato liscio. Ma in verità questo colore dell’inceppare (e lo stesso verbo pronominale ‘incepparsi’) si attesta dopo la Grande Guerra, e scaturisce dall’inceppamento delle armi da fuoco: prende l’impedimento del vecchio ‘inceppare’ e lo alloca su un’immagine nuova, in cui si percepisce bene questo nuovo senso di blocco improvviso di qualcosa pensato per filare meccanicamente. Poi i ceppi sono scomparsi, e le armi da fuoco no, e così cambia la lingua.
Non serve un occhio di lince o un orecchio da accordatore per intendere che nell’inceppare c’è il ceppo. Ma la trasparenza del nesso soffre della desuetudine di un certo significato della parola ‘ceppo’. Infatti — attenzione — la stampante inceppata non è quella che è stata fracassata contro un ceppo di quercia dal collega spazientito.
Il ceppo è in effetti la parte inferiore degli alberi, così come il grosso ciocco di legno, ma ha avuto due vocazioni figurate molto diverse. La prima, imperniata sul fatto che dal ceppo si dirama l’albero, lo legge come capostipite, come origine famigliare; la seconda invece lo scopre strumento penale, e quindi pena.
Che servisse come base su cui far poggiare comodamente il collo al condannato per miglior agio della scure del boia o che, adeguatamente spaccato prima e incernierato poi, servisse a bloccare le estremità e quindi impedire la fuga e i movimenti di persone arrestate o messe alla berlina, il ceppo ha preso un profilo poco rassicurante. In particolare il secondo caso ha portato all’espressione ‘mettere in ceppi’ — ed è qui che volevamo arrivare. Non è più un’immagine comune: oggi al massimo si usano manette di metallo.
L’inceppare ci parla di qualcosa che è bloccato così come qualcuno è bloccato coi ceppi ai piedi e alle mani. E be’, in effetti è questo il significato concreto con cui nasce nel Quattrocento, mentre ci vorranno ancora un paio di secoli per i significati figurati.
Curiosamente, però, fra quando emergono nella seconda metà del Seicento e l’inizio del Novecento, questo blocco imposto dall’inceppare ha avuto una sfumatura di colore diversa da quella con cui più comunemente lo usiamo oggi. Avendo vicino il referente dei ceppi del prigioniero, risultava in un impacciare, in un ostacolare, rallentare: se dicevo “Il sentimento mi inceppa la lingua”, esprimevo la difficoltà di movimento della lingua quasi il sentimento me la stesse legando, se dicevo che “La diffidenza verso la nuova tecnologia inceppa la sua diffusione”, mostravo uno sviluppo appesantito, trattenuto.
Invece l’inceppato di oggi è quello della carta nella stampante: qualcosa di incastrato, bloccato meccanicamente. L’inceppare è più consuetamente proprio il bloccare il funzionamento di un meccanismo. Una lingua inceppata pare deragliata in bocca, incastrata nelle fauci e incapace di schioccar parola, l’inceppamento nella diffusione comunica una stortura che arresta il processo pensato liscio. Ma in verità questo colore dell’inceppare (e lo stesso verbo pronominale ‘incepparsi’) si attesta dopo la Grande Guerra, e scaturisce dall’inceppamento delle armi da fuoco: prende l’impedimento del vecchio ‘inceppare’ e lo alloca su un’immagine nuova, in cui si percepisce bene questo nuovo senso di blocco improvviso di qualcosa pensato per filare meccanicamente. Poi i ceppi sono scomparsi, e le armi da fuoco no, e così cambia la lingua.