Etimologia voce dotta recuperata dal latino peregrinus ‘forestiero, straniero’, derivato dell’avverbio peregre ‘fuori della città’, composto di per- ‘attraverso’ e ager ‘campo’.
Siamo davanti all’allotropo, al fratello di ‘pellegrino’: in questo la prima ‘r’ è stata dissimilata in ‘l’ e raddoppiata per via popolare. ‘Peregrino’ viene invece recuperato per via dotta direttamente dal latino, conservandosi più vicino all’originale (secondo alcuni nel Cinquecento, ma altri ne annotano l’ingresso in italiano già nel Trecento). E mentre ‘pellegrino’ vive essenzialmente come sostantivo descrivendo il viandante, ‘peregrino’ è un aggettivo, e piuttosto sottile.
L’immagine che ci porta ai suoi significati è delle più suggestive: la città, o il villaggio, con tutto intorno i campi. Entro la cerchia dei campi c’è la città, cioè il domestico, il noto, il consueto, il comune; al di là dei campi c’è il fuori città, e quindi si apre l’ignoto, e da là arriva lo strano, l’originale, il raro, lo straniero. Si capisce subito che siamo quasi su immagini archetipiche - quasi ricami sulla divisione primaria fra dentro e fuori. Ovviamente il pellegrino è colui che viaggia in terre straniere, mentre il peregrino raccoglie in maniera più limpida quei caratteri generali.
Nell’uso attuale il peregrino è soprattutto il singolare, il bizzarro: posso fare un’ipotesi tutt’altro che peregrina sulle cause di un litigio, il collega in riunione tira spesso fuori idee peregrine, e l’interpretazione ironica di un testo fatta dall’attore può sembrare peregrina. Non è un originale armonico: conserva un che di fuori posto, se non addirittura di alieno, o di sbagliato. E non è nemmeno un bizzarro assoluto: può essere peregrina anche l’opinione grigia e assennata, se non è pertinente. C’è una città, c’è una situazione con la sua consuetudine, e c’è ciò che arriva da fuori, il peregrino: lo straniero e lo strano sono sempre relativi.
Poi in letteratura il peregrino è diventato anche il forestiero (sento che hai un accento peregrino ma non lo riconosco, di dove sei?) e il raro, il prezioso, l’esotico in quanto antitetico al comune e al domestico (alla festa ci sono musiche peregrine, casa sua è piena di soprammobili peregrini raccolti in viaggio). Sono significati minoritari e poco spendibili, certo; ma fanno capire quale sia la profondità e versatilità di pensiero che la chiave del peregrino schiude. Una parola ricercata che parla di concetti non soltanto semplici, ma primi.
Siamo davanti all’allotropo, al fratello di ‘pellegrino’: in questo la prima ‘r’ è stata dissimilata in ‘l’ e raddoppiata per via popolare. ‘Peregrino’ viene invece recuperato per via dotta direttamente dal latino, conservandosi più vicino all’originale (secondo alcuni nel Cinquecento, ma altri ne annotano l’ingresso in italiano già nel Trecento). E mentre ‘pellegrino’ vive essenzialmente come sostantivo descrivendo il viandante, ‘peregrino’ è un aggettivo, e piuttosto sottile.
L’immagine che ci porta ai suoi significati è delle più suggestive: la città, o il villaggio, con tutto intorno i campi. Entro la cerchia dei campi c’è la città, cioè il domestico, il noto, il consueto, il comune; al di là dei campi c’è il fuori città, e quindi si apre l’ignoto, e da là arriva lo strano, l’originale, il raro, lo straniero. Si capisce subito che siamo quasi su immagini archetipiche - quasi ricami sulla divisione primaria fra dentro e fuori. Ovviamente il pellegrino è colui che viaggia in terre straniere, mentre il peregrino raccoglie in maniera più limpida quei caratteri generali.
Nell’uso attuale il peregrino è soprattutto il singolare, il bizzarro: posso fare un’ipotesi tutt’altro che peregrina sulle cause di un litigio, il collega in riunione tira spesso fuori idee peregrine, e l’interpretazione ironica di un testo fatta dall’attore può sembrare peregrina. Non è un originale armonico: conserva un che di fuori posto, se non addirittura di alieno, o di sbagliato. E non è nemmeno un bizzarro assoluto: può essere peregrina anche l’opinione grigia e assennata, se non è pertinente. C’è una città, c’è una situazione con la sua consuetudine, e c’è ciò che arriva da fuori, il peregrino: lo straniero e lo strano sono sempre relativi.
Poi in letteratura il peregrino è diventato anche il forestiero (sento che hai un accento peregrino ma non lo riconosco, di dove sei?) e il raro, il prezioso, l’esotico in quanto antitetico al comune e al domestico (alla festa ci sono musiche peregrine, casa sua è piena di soprammobili peregrini raccolti in viaggio). Sono significati minoritari e poco spendibili, certo; ma fanno capire quale sia la profondità e versatilità di pensiero che la chiave del peregrino schiude. Una parola ricercata che parla di concetti non soltanto semplici, ma primi.