SignificatoStato d’animo di aspettazione fiduciosa della realizzazione di ciò che si desidera; virtù teologale; persona o cosa in cui si ripone speranza
Etimologia dal latino tardo sperantia, derivato di sperare, che è da spes ‘speranza’.
Una parola che possiamo classificare come fondamentale; popola i nostri giorni automaticamente, e dalla sua matrice latina sorge in forme omologhe in tutte le lingue romanze, fin dalle loro albe.
La speranza è un sentimento esposto: non richiede che si compiano azioni verso ciò che si desidera o attende in fiducioso augurio, non favorisce. Brutalmente, non aiuta. Tant’è che può essere anche un sentimento vaghissimo, di aspirazione debole, al limite della voglia. Perciò è un sentimento esposto: perché sporge dalle azioni senza esserne verticalmente sostenuta - ora sbilenca e inconsistente, ora alto fastigio aereo che spingiamo dove non possiamo farci (ancora) strada. Con un gioco aggressivo ho buone speranze di vincere la partita, il risultato formidabile supera la speranza più ardita, la giovane brillante è la nuova speranza della nazionale di scacchi (anche se piace di più dire ‘promessa’, pare più sicura, no? pare ci sia chi garantisce), ed è sempre viva la speranza in un futuro migliore.
L’etimologia non ci aiuta in maniera decisiva a comprenderla meglio, questa speranza, perché ci fa arrivare a un nocciolo antico che non è invecchiato di un giorno, che la significa alla stessa maniera. Si può solo ricostruire come il concetto di speranza abbia avuto una discontinuità. sia mutato dal paganesimo al cristianesimo, da dea da scongiurare, volentieri figurata in ragazza, a virtù astratta di aspettazione delle promesse della provvidenza e della salvezza - anche se temo che nel quotidiano, a dispetto della cascata di secoli, non sia poi mutata molto. Ci aiuta invece il suono, il suo nucleo, quello ‘spe’: non un sibilo sfuggente, ma discretamente occluso, definito, puntato come asserendo e concentrando l’augurio. La speranza è tutta ora, tutta presente.
Una parola che possiamo classificare come fondamentale; popola i nostri giorni automaticamente, e dalla sua matrice latina sorge in forme omologhe in tutte le lingue romanze, fin dalle loro albe.
La speranza è un sentimento esposto: non richiede che si compiano azioni verso ciò che si desidera o attende in fiducioso augurio, non favorisce. Brutalmente, non aiuta. Tant’è che può essere anche un sentimento vaghissimo, di aspirazione debole, al limite della voglia. Perciò è un sentimento esposto: perché sporge dalle azioni senza esserne verticalmente sostenuta - ora sbilenca e inconsistente, ora alto fastigio aereo che spingiamo dove non possiamo farci (ancora) strada. Con un gioco aggressivo ho buone speranze di vincere la partita, il risultato formidabile supera la speranza più ardita, la giovane brillante è la nuova speranza della nazionale di scacchi (anche se piace di più dire ‘promessa’, pare più sicura, no? pare ci sia chi garantisce), ed è sempre viva la speranza in un futuro migliore.
L’etimologia non ci aiuta in maniera decisiva a comprenderla meglio, questa speranza, perché ci fa arrivare a un nocciolo antico che non è invecchiato di un giorno, che la significa alla stessa maniera. Si può solo ricostruire come il concetto di speranza abbia avuto una discontinuità. sia mutato dal paganesimo al cristianesimo, da dea da scongiurare, volentieri figurata in ragazza, a virtù astratta di aspettazione delle promesse della provvidenza e della salvezza - anche se temo che nel quotidiano, a dispetto della cascata di secoli, non sia poi mutata molto. Ci aiuta invece il suono, il suo nucleo, quello ‘spe’: non un sibilo sfuggente, ma discretamente occluso, definito, puntato come asserendo e concentrando l’augurio. La speranza è tutta ora, tutta presente.