Torbido
tór-bi-do
Significato Di liquido, non trasparente, non limpido per via di particelle in sospensione; impuro, poco onesto, inquieto, ambiguo
Etimologia dal latino turbidus ‘burrascoso, tempestoso, turbato, impetuoso’, e, di liquido, ‘impuro’, derivato di turbare ‘agitare’.
Parola pubblicata il 02 Luglio 2018
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Questa parola è di una ricchezza impressionante, e richiede di andare con ordine.
I primi significati con cui incontriamo l’antecedente latino turbidus si concentrano curiosamente in un quadro meteorologico: la radice di agitazione da cui scaturisce lo rende il burrascoso, il tempestoso. Sono caratteri atmosferici che, sconvolgendola, riempiono l’aria - l’addensano d’acqua, la induriscono di vento, la oscurano. Se il torbido ci si presenta come una qualità visiva, è nato con questa prima immagine, anche se da secoli miete i suoi successi in riferimento ai liquidi, e nei suoi usi figurati.
In generale possiamo dire torbido ciò che non è limpido a causa di sospensioni che, agitate, lo rendono impuro, lo inquinano o che comunque ne ottenebrano la chiarezza. E questo è un punto importante, perché non si può dire torbido tutto ciò che non è trasparente: l’inchiostro nero appena comprato non è torbido, non è torbido il primitivo di Manduria filtrato, e la notte non intorbida il mare cristallino - anche se nessuno può vederci attraverso. Piuttosto, basta impugnare la bottiglia dell’aceto buono con un po’ più di vigore che subito si solleva la fondata e si fa torbido; basta metterci dentro un piede e il laghetto diventa torbido, coprendo la fuga dei granchi.
Immagini del genere sono molto forti perché sono consuete da millenni, tanto per il pastore quanto per il monarca. E terreni come questi sono i più fertili per i significati figurati - in questo caso tanto rigogliosi da crescere gli uni sugli altri in un intrico magnifico. Senza disviticchiarli perché si rompono, possiamo dire che il torbido è il disonesto e l’agitato, e senz’altro il poco chiaro, l’ambiguo: può essere torbido lo sguardo del tizio che forse ci vuole derubare (o è un amico delle elementari che ci ha riconosciuto?); torbido il ballo del ragazzo con la sua ex, seguito con apprensione dalla fidanzata attuale; e una passione torbida sa affascinare. Sostantivato, il torbido diventa la situazione poco chiara, anche dal punto di vista morale: e molti vi amano pescare.
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(V. Alfieri, Saul, Atto secondo, scena I, monologo di Saul)
E che? Celarmi
l’orror vorresti del mio stato? […]
Quanti anni or son, che sul mio labro il riso
non fu visto spuntare? I figli miei,
ch’amo pur tanto, le più volte all’ira
muovonmi il cor, se mi accarezzan….
Fero, impazïente, torbido, adirato
sempre; a me stesso incresco ognora, e altrui; […]
Scorgo un nemico in ogni amico; […]
[Mi è] angoscia il breve sonno; i sogni
terror.
È difficile trovare simpatici i personaggi dell’Alfieri: eppure, nella loro radicalità estrema, ci dicono molto sull’animo umano.
Il re Saul, ad esempio, porta in scena la parte più oscura della psiche, in cui forze opposte si scontrano e si confondono. Sicché, come avviene nelle acque torbide, non si riesce a distinguere cosa sta succedendo sul fondo: si intravvede solo quel poco che affiora alla superficie, spesso in modo brusco e contraddittorio.
Così Saul alterna momenti di intenerito amore verso i figli a momenti di odio profondo; impeti di ferocia a desideri di pace e purezza. Fino alla fine rimane un personaggio imprevedibile, oscuro anche a se stesso.
Certo, un conflitto interiore così grave può essere solo eroico, o patologico. Ma nel nostro piccolo nessuno di noi è esente da contraddizioni.
Non occorre infatti essere dei titani Alfieriani per sognare una vita veramente degna e grande, piena di libertà e di passione; e per sentire, più in generale, il desiderio di realizzarsi, di affermarsi nel mondo. D’altro canto, però, il cuore umano è pieno di ombre che si oppongono a questo ideale: angosce, sospetti, sensi di colpa, sfiducia. basta gettare una buona occhiata in noi stessi per renderci conto di quanto la natura umana sia, sotto certi aspetti, meschina.
Nelle sue prime tragedie Alfieri usava incarnare questo contrasto nei personaggi, rispettivamente, dell’eroe e del tiranno. Saul però unifica le due figure: e proprio da Questa antinomia strutturale nasce la sua disperazione, il suo risentimento nei confronti di se stesso e delle persone che lo circondano – anche, e soprattutto, le persone che gli sono più care.
Egli dunque è un personaggio grande e misero nello stesso tempo: animato da un desiderio che, etimologicamente, tenderebbe alla stelle, ma incatenato a terra dal suo stesso limite. In fondo, viene da chiedersi, siamo noi tanto diversi?