Wuxia

u-sià

Significato Genere letterario e cinematografico cinese basato su storie di eroi esperti nelle arti marziali

Etimologia dal cinese 武侠 wǔxiá, composto dai due caratteri 武 ‘arte marziale’ e 侠 xiá ‘eroe, cavaliere’.

Questa, fra le parole di questo ciclo, è certamente una fra le meno diffuse nella nostra lingua, tanto che i dizionari dell’uso generalmente neanche la riportano. Eppure indica qualcosa che abbiamo bene in mente e per cui non abbiamo un nome alternativo: identifica in modo inequivocabile un determinato genere di romanzo, e successivamente di film, che nell’ultimo ventennio si è fatto strada nell’immaginario del pubblico occidentale e che non ha eguali in altre culture, anche se più di un critico cinematografico ha proposto la definizione di “cappa e spada alla cinese”.

In Cina, il wuxia (al maschile, come il western o l’horror; sull’articolo da abbinare si potrebbe discutere: c’è anche chi propone “lo wuxia”) è riuscito a unire epoche e personaggi dalle caratteristiche diametralmente opposte, come gli anni ’60 e gli anni 2000, gli attori Jet Li e Stephen Chow, i registi John Woo e Wong Kar-wai. Se avete visto La tigre e il dragone (2000) di Ang Lee o Hero (2002) di Zhang Yimou, solo per citare due titoli piuttosto conosciuti e relativamente recenti, dovreste avere un’idea sulle caratteristiche dei suoi protagonisti, chiamati 侠客 xiákè: si tratta di persone spesso nate da strati umili della società, che non si sottomettono ad alcun padrone e utilizzano le proprie abilità di combattimento per compiere missioni che spesso hanno fini di giustizia o di redenzione. (Di seguito un eloquente fotogramma di un duello in cima agli alberi tratto dal film La tigre e il dragone.)

Quello del wuxia è sicuramente un mondo fantasy, tanto che molti personaggi sono dotati di poteri sovrumani, riuscendo - ad esempio - a librarsi in volo o a sollevare muri d’acqua con la propria spada. L’universo fantastico che fa da sfondo a queste storie ha anche un nome nella lingua cinese: jianghu, letteralmente “fiumi e laghi”, e nel tempo ha subito una traslazione di significato, con riferimento allo stile di vita di chi rinuncia alla carriera politica e inizia a peregrinare da un angolo all’altro del paese, perseguendo un’esistenza al di fuori delle regole sociali e delle leggi.

Attenzione, però: i xiake non sono banditi, perché rispettano comunque dei principi di condotta che si sono consolidati nel tempo (cavalleria, giustizia, virtù, lealtà e vendetta). In tal senso, dalle prime storie comparse nel 300 a.C. fino alla tarda dinastia Qing (1644-1911), quando il genere fu ufficialmente denominato in questo modo, questi eroi della letteratura fantastica cinese sono sempre stati oggetto di ammirazione e hanno stimolato la fantasia di innumerevoli giovani in fuga da una società spesso incapace di accettare l’anticonformismo.

Parola pubblicata il 30 Ottobre 2020

Parole cinesi - con Francesco Nati

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