Alleluia
al-le-lù-ia
Significato Interiezione dal significato letterale di ‘sia lode a Dio’ presente numerose volte nella Bibbia ebraica; parte specifica della liturgia della messa cattolica che precede la lettura del Vangelo (omessa in tempo di quaresima) e della liturgia greco-ortodossa
Etimologia dall’ebraico Halləluyah, parola composta da hallelu (‘sia lode’) e yah (prima parte del tetragramma sacro che indica il nome di Dio in ebraico e che non va mai né scritto né pronunciato nella sua interezza). La parola è rimasta invariata nei secoli passando attraverso il greco, il latino e diffondendosi in moltissime lingue.
Parola pubblicata il 06 Novembre 2020
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
Il secondo comandamento ha subito due sorti assai diverse nelle due fedi bibliche: l’ebraismo ha esteso la proibizione di utilizzo del teonimo in modo totalizzante, tanto da rendere completamente impronunciabile il nome di Dio, e perfino la parola ‘Dio’. Nei testi ebraici la si può trovare infatti scritta così: D-o.
Il nome impronunciabile viene chiamato ‘tetragramma biblico’, in quanto composto di quattro lettere derivate dalla radice triconsonantica h – y – h, legata al verbo ‘essere’. In sostituzione del tetragramma vengono dunque utilizzati molti altri termini equivalenti al nostro ‘Signore’, il più diffuso dei quali è ‘Adonai’.
Il cristianesimo, invece, nello sganciarsi dalla ripetitività ritualistica e dal concatenarsi di regole e prescrizioni che regolano la vita ebraica, nei secoli ha fatto prendere al secondo comandamento il profilo di un più generico (ma non meno articolato) ‘non bestemmiare’. È peraltro interessante notare come nell’Islam si esprima un fenomeno marcatamente inverso, cioè si incoraggi ad usare ricorrentemente il teonimo Allah nei discorsi quotidiani, che sia l’augurio insh’Allah (se Dio vuole) o l’esclamazione di gratitudine alhamdulillah (grazie a Dio o che sia lode a Dio). Quest’ultima ha una notevole assonanza con alleluia, e non penso che ci si possa stupire nello scoprire che, alla fine dei conti, significano la stessa cosa.
Alleluia si compone di due parole: la prima è costituita dalla seconda persona plurale maschile dell’imperativo del verbo hillel che esorta un gruppo di uomini a lodare (ecco l’altra parola) Yah – oppure Jah, cioè Dio. Egli è indicato usando solo la prima parte del suo nome per non commettere, appunto, il peccato di pronunciarlo. Piccola precisazione: se quel Yah, o Jah, vi echeggia di qualche canzone raggae, non vi state sbagliando. Jah è infatti anche il nome di Dio nella religione rastafari. E sempre da lì viene il teonimo Geova… insomma, si tratta davvero di un albero con rami che si estendono nelle direzioni della fede e della musica, molto spesso intrecciandosi tra loro.
Certo, alleluia è un’interiezione che ormai è anche usata oltre le mura di chiese e sinagoghe, e in toni ironici, financo blasé: «Alleluia, hanno trovato parcheggio e stanno arrivando, a breve potremo iniziare a mangiare»; «Sono andato a lavare la macchina.» «Oh, alleluia, ti sei deciso…!».