Etimologia voce dotta recuperata dal latino abstergere, derivato di tergere ‘pulire’ col prefisso abs- ‘lontano da, via da’.
Davanti a questa parola ci sono da fare considerazioni grosse e considerazioni fini.
Grosse. Certi verbi possono essere liberatori. Ponendo che io, col sentimento del caso, stia asciugando le lacrime che rigano il volto di qualcuno di amato, se in cerca di poesia dico che ne detergo il volto, eludere l’immagine dello strofinaccio inumidito di vetrix strofinato con olio di gomito sulla sua faccia richiede uno sforzo attivo. Il detergente si è mangiato il detergere. Soccorre l’astergere (da non confondere con l’aspergere), che ha grossomodo i suoi stessi significati, un togliere le impurità, lo sporco, strofinando, lavando, asciugando. Certo astergo il vaso di cristallo sottile, e i fanatici la domenica mattina astergono la carrozzeria della macchina al lavaggio del distributore, e il nonno prima di rispondere si asterge gli occhiali con calmasicura. Ma posso anche asterge la lettera da ogni animosità dopo una rilettura a freddo, astergere il soperchio da una procedura, astergere il brutto ricordo di un luogo passandoci sopra esperienze nuove e magnifiche. Mica male.
Fini. Fra l’astergere e il detergere c’è teoricamente la differenza che corre fra l’astrarre e il detrarre. Il ‘de-’ indica allontanamento, e ‘abs-’ significa un ‘via da’. Stessa roba, no? Quasi. Si può annusare che mentre l’allontanamento del ‘de-’ (che rafforza il togliere insito nel pulire) è fotografato in un singolo istante di sottrazione senza che ne sia osservato il seguito, il prefisso ‘abs-’ racconta un pulire togliendo che è quasi un raccogliere, un trattenere. Le lacrime che astergo inumidiscono il mio fazzoletto di lino, i pensieri cupi che astergo dalla mente me li rimetto al fianco, ora innocui, ho asterso i pavimenti e guardo con soddisfazione l’acqua scura nel secchio. Divento partecipe della pulizia di ciò che astergo contemplando, tenendo l’impurità eliminata. Mica male.
Davanti a questa parola ci sono da fare considerazioni grosse e considerazioni fini.
Grosse. Certi verbi possono essere liberatori. Ponendo che io, col sentimento del caso, stia asciugando le lacrime che rigano il volto di qualcuno di amato, se in cerca di poesia dico che ne detergo il volto, eludere l’immagine dello strofinaccio inumidito di vetrix strofinato con olio di gomito sulla sua faccia richiede uno sforzo attivo. Il detergente si è mangiato il detergere. Soccorre l’astergere (da non confondere con l’aspergere), che ha grossomodo i suoi stessi significati, un togliere le impurità, lo sporco, strofinando, lavando, asciugando. Certo astergo il vaso di cristallo sottile, e i fanatici la domenica mattina astergono la carrozzeria della macchina al lavaggio del distributore, e il nonno prima di rispondere si asterge gli occhiali con calma sicura. Ma posso anche asterge la lettera da ogni animosità dopo una rilettura a freddo, astergere il soperchio da una procedura, astergere il brutto ricordo di un luogo passandoci sopra esperienze nuove e magnifiche. Mica male.
Fini. Fra l’astergere e il detergere c’è teoricamente la differenza che corre fra l’astrarre e il detrarre. Il ‘de-’ indica allontanamento, e ‘abs-’ significa un ‘via da’. Stessa roba, no? Quasi. Si può annusare che mentre l’allontanamento del ‘de-’ (che rafforza il togliere insito nel pulire) è fotografato in un singolo istante di sottrazione senza che ne sia osservato il seguito, il prefisso ‘abs-’ racconta un pulire togliendo che è quasi un raccogliere, un trattenere. Le lacrime che astergo inumidiscono il mio fazzoletto di lino, i pensieri cupi che astergo dalla mente me li rimetto al fianco, ora innocui, ho asterso i pavimenti e guardo con soddisfazione l’acqua scura nel secchio. Divento partecipe della pulizia di ciò che astergo contemplando, tenendo l’impurità eliminata. Mica male.