SignificatoIndigeno, originario della stessa terra in cui vive
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino tardo autochton, dal greco autóchton, composto di auto- ‘stesso’ e chtón ‘terra’.
Ci sono diverse parole ben note che condividono grossomodo questo significato, ma l’autoctono ha una sfumatura con un mordente eccezionale.
L’indigeno è etimologicamente chi è stato generato in un certo luogo: il latino indigena è derivato di gignere ‘generare’, col prefisso ‘indu-‘, che vale ‘in-‘. L’aborigeno è invece chi abita un luogo fin dai tempi più remoti: nella latinità il popolo degli Aborigeni era quello dei primigeni abitatori del Lazio, e forse trassero pianamente il loro nome dalla locuzione ab origine, ‘dalle origini’. L’autoctono, infine, emerso in italiano solo nell’Ottocento, cambia le carte in tavola in maniera poetica: è della sua stessa terra. Letteralmente generato dalla sua stessa terra.
In altre parole, se l’indigeno ci presenta in maniera pulita il nativo, non immigrato e non importato, se la qualità dell’aborigeno è un sussistere in un certo luogo da tempo immemorabile, l’autoctono si mostra come esalato direttamente dalle vigorose viscere della terra. Un carattere che, a ben vedere, per quanto abbia i connotati di una lunga presenza, non ci parla solo di una dimensione temporale, ma di un’identità ctonia, sottile e profonda.
Vivendo con gli autoctoni a mille miglia da casa propria si colgono aspetti nuovi e insoliti dei giorni, la regione si pregia dei suoi talenti autoctoni, e i frutti autoctoni di una terra vengono recuperati con cura laboriosa. Ovviamente tanta serietà può essere facilmente volta in ironia antropologica, e quindi iniziamo l’amico appena trasferito ai divertimenti autoctoni, e ogni volta che capitiamo a Milano ci appuntiamo i curiosicostumi degli autoctoni.
Una parola alta, fine, potente, e proprio facile da spendere.
Ci sono diverse parole ben note che condividono grossomodo questo significato, ma l’autoctono ha una sfumatura con un mordente eccezionale.
L’indigeno è etimologicamente chi è stato generato in un certo luogo: il latino indigena è derivato di gignere ‘generare’, col prefisso ‘indu-‘, che vale ‘in-‘. L’aborigeno è invece chi abita un luogo fin dai tempi più remoti: nella latinità il popolo degli Aborigeni era quello dei primigeni abitatori del Lazio, e forse trassero pianamente il loro nome dalla locuzione ab origine, ‘dalle origini’. L’autoctono, infine, emerso in italiano solo nell’Ottocento, cambia le carte in tavola in maniera poetica: è della sua stessa terra. Letteralmente generato dalla sua stessa terra.
In altre parole, se l’indigeno ci presenta in maniera pulita il nativo, non immigrato e non importato, se la qualità dell’aborigeno è un sussistere in un certo luogo da tempo immemorabile, l’autoctono si mostra come esalato direttamente dalle vigorose viscere della terra. Un carattere che, a ben vedere, per quanto abbia i connotati di una lunga presenza, non ci parla solo di una dimensione temporale, ma di un’identità ctonia, sottile e profonda.
Vivendo con gli autoctoni a mille miglia da casa propria si colgono aspetti nuovi e insoliti dei giorni, la regione si pregia dei suoi talenti autoctoni, e i frutti autoctoni di una terra vengono recuperati con cura laboriosa. Ovviamente tanta serietà può essere facilmente volta in ironia antropologica, e quindi iniziamo l’amico appena trasferito ai divertimenti autoctoni, e ogni volta che capitiamo a Milano ci appuntiamo i curiosi costumi degli autoctoni.
Una parola alta, fine, potente, e proprio facile da spendere.