SignificatoCome nome collettivo gentaccia cattiva, farabutti, persone disoneste. Come nome singolo vigliacco, mascalzone ma anche furbacchione
Etimologia dal latino canis ‘cane’, col suffisso collettivo e peggiorativo -aglia.
Una parola rotonda, carnosa, che riempie la bocca, magari un po’ antiquata, ma succulenta e niente affatto polverosa, e questo perché canaglia sa essere sia un mero peggiorativo, sia un insulto, sia un segno di affetto. E in più dalla sua ha anche un garbo che la rende capace di mantenere il discorso pulito, scevro da sconcezze.
Se dico che il vecchio compagno di scuola è finito molto molto male, ma che la cosa non ci sorprende vista la canaglia che aveva preso a frequentare sin dalla più giovane età, sto usando la parola come nome collettivo e mi riferisco ad un gruppo di persone che potrebbe essere definito sia della gentaglia che della gentaccia, fino ad arrivare al più specifico e legalmente esplicito farabutti, finanche delinquenti. Ma così diamo al nostro parlare dei colori che sconfinano forse nel farisaico e nel perbenismo. La canaglia invece, nel suo essere più generico, dando meno dettagli, risulta nobile, di una fierezza che non pecca d’alterigia.
D’altra parte, possiamo usarlo come nome singolare per indicare una sola persona, e qui l’uso si biforcherà a seconda del registro del discorso. Posso dire che una canaglia schifosa mi ha sottratto il portafogli tagliandomi la borsetta senza che me ne accorgessi mentre salivo sulle scale mobili della metropolitana, e con ciò metterò tutto il mio disprezzo e il mio risentimento nei confronti di chi ha compiuto il furto.
Ma, con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, sibilerò all’amico che quella vecchia canaglia di Carlo ha colpito ancora e a fine serata ha scambiato il numero di telefono con una bella ragazza. In questo caso il senso dispregiativo della parola, rappresentato dal suffisso -aglia, si azzera e la parola passa all’ambito semantico scherzoso e goliardico — insomma, può essere un disfemismo. Significherà vecchio furbacchione, birbone in gamba, un po’ malizioso e con un asso nella manica sempre pronto ad essere giocato per ribaltare la partita. A riprova di ciò c’è la vecchia serie di cortometraggi statunitense il cui titolo tradotto è ‘Simpatiche canaglie’, in cui un gruppo di bambini ne combina di tutti i colori.
La cosa più curiosa è che tutti questi significati, questo piccolo universo negativo e ironico racchiuso in una parolina dal suono allegro, hanno un legame di parentela nientemeno che con Fido. Il suffisso -aglia si innesta infatti su una radice costituita dal latino canis, cioè cane. Compare già nel XIV secolo, in un’epoca in cui il cane non era ancora ufficialmente il miglior amico dell’uomo, perché a contendergli il trofeo c’era il cavallo. La lingua conserva spesso un’impressione ingenerosa riguardo ai cani: l’idea del branco di cani randagi, male in arnese e resi aggressivi da malattie e cattive esperienze con gli umani, è stata assimilata alla masnada di mascalzoni che agli angoli delle strade passa il tempo tra violenza e ladrocinio. Così nasce la canaglia, un termine che verso i cani suona un po’ da canaglie.
Una parola rotonda, carnosa, che riempie la bocca, magari un po’ antiquata, ma succulenta e niente affatto polverosa, e questo perché canaglia sa essere sia un mero peggiorativo, sia un insulto, sia un segno di affetto. E in più dalla sua ha anche un garbo che la rende capace di mantenere il discorso pulito, scevro da sconcezze.
Se dico che il vecchio compagno di scuola è finito molto molto male, ma che la cosa non ci sorprende vista la canaglia che aveva preso a frequentare sin dalla più giovane età, sto usando la parola come nome collettivo e mi riferisco ad un gruppo di persone che potrebbe essere definito sia della gentaglia che della gentaccia, fino ad arrivare al più specifico e legalmente esplicito farabutti, finanche delinquenti. Ma così diamo al nostro parlare dei colori che sconfinano forse nel farisaico e nel perbenismo. La canaglia invece, nel suo essere più generico, dando meno dettagli, risulta nobile, di una fierezza che non pecca d’alterigia.
D’altra parte, possiamo usarlo come nome singolare per indicare una sola persona, e qui l’uso si biforcherà a seconda del registro del discorso. Posso dire che una canaglia schifosa mi ha sottratto il portafogli tagliandomi la borsetta senza che me ne accorgessi mentre salivo sulle scale mobili della metropolitana, e con ciò metterò tutto il mio disprezzo e il mio risentimento nei confronti di chi ha compiuto il furto.
Ma, con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, sibilerò all’amico che quella vecchia canaglia di Carlo ha colpito ancora e a fine serata ha scambiato il numero di telefono con una bella ragazza. In questo caso il senso dispregiativo della parola, rappresentato dal suffisso -aglia, si azzera e la parola passa all’ambito semantico scherzoso e goliardico — insomma, può essere un disfemismo. Significherà vecchio furbacchione, birbone in gamba, un po’ malizioso e con un asso nella manica sempre pronto ad essere giocato per ribaltare la partita. A riprova di ciò c’è la vecchia serie di cortometraggi statunitense il cui titolo tradotto è ‘Simpatiche canaglie’, in cui un gruppo di bambini ne combina di tutti i colori.
La cosa più curiosa è che tutti questi significati, questo piccolo universo negativo e ironico racchiuso in una parolina dal suono allegro, hanno un legame di parentela nientemeno che con Fido. Il suffisso -aglia si innesta infatti su una radice costituita dal latino canis, cioè cane. Compare già nel XIV secolo, in un’epoca in cui il cane non era ancora ufficialmente il miglior amico dell’uomo, perché a contendergli il trofeo c’era il cavallo. La lingua conserva spesso un’impressione ingenerosa riguardo ai cani: l’idea del branco di cani randagi, male in arnese e resi aggressivi da malattie e cattive esperienze con gli umani, è stata assimilata alla masnada di mascalzoni che agli angoli delle strade passa il tempo tra violenza e ladrocinio. Così nasce la canaglia, un termine che verso i cani suona un po’ da canaglie.