Cao

cà-o

Significato Varietà linguistica: genovese — Cavo

Etimologia dal latino caput in origine ‘capo, testa’, poi ‘estremità’, e poi ‘estremità della corda’ e infine ‘corda, cordone’.

Per districare un filo, una corda, una matassa, cioè per raccapezzarsi, letteralmente, bisogna trovarne il capo, cioè l’estremità. E questo è talmente importante, e chiunque sia andato in barca a vela l’ha imparato a proprie spese, che in alcune lingue la parola per ‘estremità’, ha finito per indicare l’intera fune.

Per cui, nelle culture marinaresche, dove il cordame è di vitale importanza, e quindi in in veneziano e in genovese, caput è passato (anche) a significare tutta la ‘corda’. Non è del tutto chiaro se sia il genovese cao (pronunciato /cau/ e in cui si è poi inserita una -v- per rompere il dittongo), o invece direttamente il veneziano cavo, all’origine dell’italiano cavo; quello che è certo è che due parlate che oggi chiamiamo dialetti sono state delle grandi lingue internazionali, e sono state all’origine di una bella parte della terminologia marinaresca del Mediterraneo, avendo fornito numerose parole allo stesso italiano.

Una parola come ca(v)o, di origine dialettale e specialistica, appartenente al lessico dei marinai, è poi diventata una parola oggi d’uso comunissimo, perché è stata riutilizzata con grande successo per denotare degli oggetti che sono ormai di uso quotidiano e universale e che non hanno granché a vedere col mare. In un mondo pervaso dall’elettronica, il cavo (spesso nel suo diminutivo cavetto), è uscito dalla coperta delle navi ed è entrato in quello dei caricabatterie e dei connettori, assumendo un ruolo assolutamente centrale nelle nostre vite; e mai come in questi tempi è l’estremità (il caput) ad essere di… capitale importanza, come dolorosamente impara chi deve fare una presentazione e non ha il cavo-adattatore da USB-C a HDMI. Anche in un modo sempre più wireless cavi e cavetti saranno sempre necessari, perché le leggi dell’elettromagnetismo funzionano così: c’è solo da sperare che ci si metta d’accordo e se ne standardizzino per l’appunto le estremità, cioè i capi.

I progressi tecnici creano sempre nuovi oggetti e nuovi concetti, e alcune lingue, le lingue dei paesi tecnologicamente ed economicamente più forti da cui in genere queste innovazioni arrivano, si fanno portatrici anche del termine che li designa. Nel caso della marineria, sono stati i veneziani o i genovesi gli esportatori di molte di queste innovazioni, e quindi di molta di questa terminologia. L’italiano ha preso diverse parole da questi ‘dialetti’ in un modo in fondo non dissimile da quello che fa oggi quando accoglie parole inglesi che arrivano insieme alla novità elettronica di turno. Ma trattandosi di lingue strettamente imparentate con l’italiano, e essendo parlate da zone dove l’italiano è da secoli la lingua scritta e di cultura, può darsi che non ci si accorga di questo fatto.

Invece, l’inglese cable è, sì, legato, al nostro ca(v)o di oggi, ma indirettamente: deriva in ultima analisi sempre da caput, ma attraverso capulum (quindi ancora ‘cavetto’) che poi è la parola che dà origine all’italiano cappio. È istruttivo vedere come l’inglese non abbia nessuna remora a utilizzare vecchie parole, anche del lessico agro-pastorale, per le sue necessità di terminologia tecnica, mentre l’italiano di remore ne ha ormai, eccome. Una parola ormai poco usata (perché ora si fa l’hotspot) ma un tempo in voga, il tethering, cioè il fatto di connettere il telefonino a PC con un cavetto per avere una connessione internet in mobilità, in inglese aveva in origine il significato di ‘impastoiare’, cioè legare (gli animali) con una pastoia: una cordicella che il pastore metteva tra le gambe delle bestie per impedirne la fuga.

Un’ultima curiosità su queste cordicelle: anche l’altra parola marinaresca per ‘corda’, cioè cima, ha avuto una storia simile di spostamento di significato. La cyma era l’estremità tenera dell’erba (da cui il verbo cimare, ‘spuntare’, detto soprattutto di piante); da qui a ‘punto più alto’ e quindi ‘vetta’; e poi a ‘estremità (di una corda)’ e poi a ‘corda’. Ma le ‘cime’ in origine erano per l’appunto, proprio le ‘cime di rapa’, e quello che oggi ci pare il significato principale, cioè ‘vetta di una montagna’ è invece un significato in origine secondario e metaforico.

Parola pubblicata il 20 Ottobre 2025

Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli

L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.