Ciclopico
ci-clò-pi-co
Significato Dei ciclopi; enorme, colossale
Etimologia voce dotta recuperata dal latino Cyclops, prestito dal greco kýklops, composto di kýklos ‘cerchio’ e óps ‘occhio’.
Parola pubblicata il 07 Agosto 2021
ci-clò-pi-co
Significato Dei ciclopi; enorme, colossale
Etimologia voce dotta recuperata dal latino Cyclops, prestito dal greco kýklops, composto di kýklos ‘cerchio’ e óps ‘occhio’.
Parola pubblicata il 07 Agosto 2021
Chi siano i ciclopi è arcinoto; ma il dato curioso di questa parola è che i suoi significati non vertono sul tratto distintivo e unico della mitica figura del ciclope, ma su uno che invece è in apparenza molto più ordinario. Infatti il ciclopico non ci parla di qualità riferite all’unico grande occhio mediofrontale dei ciclopi (suggestione nata forse dai ritrovamenti di teschi d’elefanti col loro foro nasale), ma piuttosto dell’enorme, del colossale, del gigantesco.
Ora, nel mito greco (e non solo), di gente antropomorfa enorme c’è una folla — dai titani ai giganti propriamente detti. Ed è gente che è sempre nei nostri pensieri, quando ci serve un riferimento di dimensioni eccezionali. Ed è in effetti un riferimento che serve spesso — ci capita di dover significare il molto grande con maggior frequenza rispetto al monocolo. Quindi non ci deve stupire il fatto che, nonostante quel carattere distintivo unico di estrema evidenza, anche i ciclopi, in quanto omaccioni, si riconducano a un metro di grandezza. Anche perché, in effetti, lo fanno in maniera peculiare — e dobbiamo cercare di mettere a fuoco meglio le particolarità più profonde dei ciclopi.
Titani e giganti, nel mito greco, sono creature lontanissime dall’esperienza umana. In effetti, a parte eventi salienti del mito, non sappiamo nemmeno che cosa facessero. Come passa le sue giornate un titano? Invece dei ciclopi lo sappiamo.
Va detto che ci sono essenzialmente due tradizioni mitiche sui ciclopi, che però sul punto che ci interessa convergono: per Esiodo, che ne parla nella Teogonia, i Ciclopi sono esseri primigeni al pari di titani e giganti, figli di Urano e Gea, e sono artigiani senza pari — peraltro sono loro a forgiare le folgori di Zeus. Per Omero, invece, che ne parla più famosamente nell’Odissea, i ciclopi sono progenie di Poseidone, bruti e solitari, che vivono di pastorizia.
Due tradizioni diverse — fini fabbri contro pastori ignoranti — comuni però nell’attribuire a queste creature sovrumane, in maniera del tutto eccezionale, una peculiarità umana: lavorano. E, secondo certe tradizioni, costruiscono. Addirittura i ciclopi gasterochiri fanno di mestiere i muratori (letteralmente il loro nome avverte che soddisfano lo stomaco col lavoro delle mani).
Così, parlare di mura ciclopiche riferendoci alle mura costruite posando macigni digrossati gli uni sugli altri, acquista una precisione diversa. Non sono solo mura enormi, sono mura che avrebbero potuto erigere i ciclopi a forza di braccia: qualcuno ricorderà il gesto poderoso di Polifemo che, unico, riesce a spostare il masso che chiude l’ingresso del suo antro. Ecco, secondo alcuni i gasterochiri furono impiegati nella costruzione delle mura di Tirinto e Micene.
Insomma, senza che questo valga a distinguerlo nettamente nell’uso linguistico dai colleghi marcantonii del mito, il ciclope, e perciò il ciclopico, si conserva più vicino all’esperienza umana. È un enorme, ma non un enorme che vaneggia nell’incomprensibilmente grande — grande come le montagne e i mari. È un enorme che lavora, e mangia e beve e dorme e veste panni.
Così facciamo con ammirazione una visita in una caverna ciclopica — un antro sufficientemente grande da far da casa per un tipo di cinque?, sei metri? (un tipo bello grosso, ma non insensatamente grosso). Così se lasciamo ordinare il prozio al ristorante finiremo per fare una mangiata ciclopica — se fossimo stati il doppio ci avremmo mangiato a sazietà comunque. E la nonna si risolve a comprare delle staffe ciclopiche per lo scaffale, capaci di reggere la sua collezione di incisioni inglesi da quattro quintali.