SignificatoIl degnarsi, atteggiamento dell’acconsentire con benevolenza a compiere un atto inferiore alla propria dignità
Etimologia dal latino dignatio stima, favore, rispettabilità.
Questa parola si colloca in un punto cieco del nostro vocabolario quotidiano. Il degno, lo sdegnato, il degnare, figuriamoci la dignità, li frequentiamo assiduamente, la degnazione invece resta in disparte, poco battuta. È una parola fine e problematica, per la sua inconsuetudine sembra un po’ difficile da usare, e va vista bene.
Sarebbe l’atto del degnarsi, o meglio l’atteggiamento del degnarsi. Quindi prima si deve capire che cosa sia il degnarsi. Sui dizionari si trova riportato in maniera sintetica che è l’acconsentire a compiere qualcosa che non si considera all’altezza della propria dignità. In parola più semplici: va bene, mi abbasso a farlo. E spesso ricorriamo a questo significato con sprezzo ironico: ah, guarda chi si è degnato di venire alla mia festa; non mi degnerò di rispondere a chi si esprime in questo modo; lui non si degna di mettere benzina nell’auto, va sempre al servito. E in un’epoca orizzontale è difficile usare questo verbo in maniera schietta, non acre - per quanto magari, con emozione, io possa parlare di quella volta che il mio cantante preferito si degnò di autografarmi il cd. Il degnarsi implica l’esistenza di un superiore e un inferiore.
La degnazione è un sostantivo sottile: è quell’atteggiamento per cui, benevolo, magnanimo, cortese, io compio quell’atto inferiore alla mia dignità. Curiosamente si è fatta tutta negativa: c’è un calcolo di ostentazione, di compiacenza, perché la degnazione non è umile, non è spontanea. È un modo per marcare la superiorità, sempre mediata dal confronto con uno standard di distinzione, di levatura. C’è un pensiero puntato sulla ribalta di noi stessi che ci chiniamo. C’è vanità, c’è gioco di potere.
Il collega ha la degnazione di spingersi eccezionalmente a fare quel minimo lavoro contiguo che non gli spetterebbe; fra amici ci raccontiamo alzando le sopracciglia di chi nella coppia scoppiata abbia ripreso l’altro con degnazione; e con aria di degnazione lo zio ci aiuta a preparare il pranzo, spiegandoci punto a punto dov’è che sbagliamo e come dovremmo fare.
La degnazione è la faccia peggiore della dignità: ritorce il valore in supponenza, in distacco.
Questa parola si colloca in un punto cieco del nostro vocabolario quotidiano. Il degno, lo sdegnato, il degnare, figuriamoci la dignità, li frequentiamo assiduamente, la degnazione invece resta in disparte, poco battuta. È una parola fine e problematica, per la sua inconsuetudine sembra un po’ difficile da usare, e va vista bene.
Sarebbe l’atto del degnarsi, o meglio l’atteggiamento del degnarsi. Quindi prima si deve capire che cosa sia il degnarsi. Sui dizionari si trova riportato in maniera sintetica che è l’acconsentire a compiere qualcosa che non si considera all’altezza della propria dignità. In parola più semplici: va bene, mi abbasso a farlo. E spesso ricorriamo a questo significato con sprezzo ironico: ah, guarda chi si è degnato di venire alla mia festa; non mi degnerò di rispondere a chi si esprime in questo modo; lui non si degna di mettere benzina nell’auto, va sempre al servito. E in un’epoca orizzontale è difficile usare questo verbo in maniera schietta, non acre - per quanto magari, con emozione, io possa parlare di quella volta che il mio cantante preferito si degnò di autografarmi il cd. Il degnarsi implica l’esistenza di un superiore e un inferiore.
La degnazione è un sostantivo sottile: è quell’atteggiamento per cui, benevolo, magnanimo, cortese, io compio quell’atto inferiore alla mia dignità. Curiosamente si è fatta tutta negativa: c’è un calcolo di ostentazione, di compiacenza, perché la degnazione non è umile, non è spontanea. È un modo per marcare la superiorità, sempre mediata dal confronto con uno standard di distinzione, di levatura. C’è un pensiero puntato sulla ribalta di noi stessi che ci chiniamo. C’è vanità, c’è gioco di potere.
Il collega ha la degnazione di spingersi eccezionalmente a fare quel minimo lavoro contiguo che non gli spetterebbe; fra amici ci raccontiamo alzando le sopracciglia di chi nella coppia scoppiata abbia ripreso l’altro con degnazione; e con aria di degnazione lo zio ci aiuta a preparare il pranzo, spiegandoci punto a punto dov’è che sbagliamo e come dovremmo fare.
La degnazione è la faccia peggiore della dignità: ritorce il valore in supponenza, in distacco.