Inurbarsi

i-nur-bàr-si

Significato Trasferirsi dalla campagna alla città, in relazione al fenomeno dell’urbanesimo

Etimologia verbo parasintetico di conio dantesco, derivato dal latino urbs, ‘città’, con aggiunta del prefisso ‘in-‘.

A prima vista non le daresti più di due o tre secoli, a questa paroletta: una di quelle che nella nostra mente compaiono ornate di grattacieli formicolanti o, al massimo, di fuligginosi camini. Certo non te l’immagini sprizzante da una penna trecentesca.

Eppure, quando Dante vuole descrivere lo stupore delle anime che lo vedono attraversare l’aldilà, questo è precisamente il verbo che usa, o per meglio dire che inventa: “Non altrimenti stupido si turba / lo montanaro, e rimirando ammuta, / quando rozzo e salvatico s’inurba” (Pg XXVI).

Va detto che, come molte parole dantesche, anche ‘inurbarsi’ ha cambiato significato nel corso degli anni. Per Dante indicava il semplice atto di entrare in città dal contado, anche in via momentanea, mentre oggi descrive un trasferimento più o meno definitivo; e questo processo, esteso su larga scala, si traduce nel fenomeno dell’urbanesimo, ossia nel forte afflusso di popolazione verso le città (inurbamento) e nella loro conseguente crescita (urbanizzazione).

Sebbene in misura minore, però, questi fenomeni erano già noti ai tempi di Dante. In effetti proprio in quegli anni Firenze aveva conosciuto un inurbamento senza precedenti, tanto che era stato necessario costruire ben due nuove cinte murarie per contenere le case di recente costruzione.

Se ne lamenta anche Cacciaguida (dal quale evidentemente Dante ha ereditato la tendenza a sacramentare contro le degenerazioni moderne). Secondo l’illustre antenato la “gente nuova” ha finito per corrompere la popolazione fiorentina, la quale se ne stava “sobria e pudica” nella ristretta cerchia delle mura antiche (Par XV). In pratica Cacciaguida è la versione medievale del Milanese imbruttito, diffidente verso tutti i “giargiana” che abitano out of the ring (ossia oltre la circonvallazione esterna).

Del resto i cittadini DOC hanno sempre considerato con una certa ironia gli abitanti del contado, che si trovano disarmati di fronte alle raffinatezze e alle malizie della città. Anche Manzoni non si perita di lanciare qualche frecciatina al suo amato Renzo quando – da bravo “montanaro” che “s’inurba” – se ne resta imbambolato davanti al Duomo di Milano e finisce poi per ficcarsi nel mezzo d’una rivolta.

E in fondo, come in tutti i luoghi comuni, anche in questo c’è un po’ di verità. Io stessa – da milanese adottiva qual sono – ricordo bene lo sconcerto nello scoprire che una città potesse avere più di una stazione, e una stazione più di due binari.

Comunque, provinciali e inurbati di tutto il mondo, consoliamoci: abbiamo un illustre precedente. Proprio quel Virgilio cui Dante si affida nella sua difficile impresa è stato, ai suoi tempi, un contadinotto inurbato. Talmente impacciato da meritare il soprannome di «verginello», a detta di Orazio non sapeva vestirsi né pettinarsi, e neppure reggere gli scherzi. Ma poco importava, giacché «per bontà va innanzi a tutti, è amico, / e chiude in rozzo corpo un alto ingegno» (Satira I).

Inoltre, a dirla tutta: è davvero così infamante fare come quel montanaro che «rimirando ammuta» davanti alla bellezza di una città? Chissà, forse è proprio chi arriva dall’esterno che riesce a godersi appieno ciò che il cittadino quasi non vede più. L’importante è riuscire a tenersi quella meraviglia stretta stretta, mentre si impara a orientarsi per le strade e a prendere i treni giusti.

Parola pubblicata il 15 Marzo 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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