SignificatoChe riguarda i fuochi d’artificio e la loro produzione; vivace, spumeggiante
Etimologia dal francese pyrotechnique, composto dagli elementi greci pyro- ‘fuoco’ e téchne ‘arte’.
Oggi trattiamo di fuochi d’artificio. D’artificio. E questo è il primo punto insolito della materia di cui ci vuole parlare questa parola: non ci parla di fuochi naturali.
Be’, ovviamente tutto è naturale, siamo natura e non c’è nulla di esistente che sfugga alla natura, ma dobbiamo adottare la normale sfocatura del termine: qui si parla di fuochi creati con l’applicazione di un’arte umana speciale. E non quella (complessa, in verità) di ‘fare il fuoco’ — quello per scaldarsi, cucinare, lavorare — ma in particolare quell’arte nata in Cina di unire salnitro, carbone e zolfo per creare la polvere da sparo.
L’aggettivo ‘pirotecnico’ (costruito con l’adattamento degli elementi greci pyro- ‘fuoco’ e téchne ‘arte’) ci porta alla mente l’immagine di fuochi d’artificio che hanno scopi spettacolari, meramente estetici, ma la loro genesi non è diversa da quella dei fuochi delle armi da fuoco: la materia esplosiva è analoga, e questi fuochi pacifici sono solo un po’ più recenti in Occidente, e nelle forme che riconosciamo oggi.
È in effetti curioso che questa parola non sia nata in riferimento alla tecnica di produzione di esplosivi bellici, e che sia emersa non prima della fine del Seicento, in Francia (pyrotechnique in francese), recepita addirittura negli anni ‘70 del Settecento in italiano — mentre la formula della polvere da sparo attuale è riportata a metà del Duecento dal filosofo francescano e alchimista Ruggero Bacone. Forse questo scarto nasce dal fatto che la tecnica davvero problematica in materia non fosse quella produttiva della polvere esplosiva, ma delle armi che fossero in grado di usarne l’energia nei modi più letali. Mentre nella pirotecnica di spettacolo la complessità dell’ideazione del cartone da far deflagrare, con composti combustibili e coloranti, raggiunge il grado di un’arte.
Così non ci stupisce che sia proprio in quel periodo — la fine del Seicento — che gli spettacoli di fuochi d’artificio hanno iniziato a costruirsi la loro fama, che come sappiamo bene dura ancora oggi e in maniera speciale, nel nostro Paese. E tanta presa ha quest’arte nella nostra cultura che l’aggettivo ‘pirotecnico’ prende significati figurati di grande smalto.
È il vivacissimo, lo spumeggiante, con un taglio perfino fantasmagorico, che sorprende e incalza in maniera serrata. Possiamo parlare del finale pirotecnico del film, in cui si susseguono colpi di scena al fulmicotone, del discorso pirotecnico pronunciato alla premiazione con cui la platea viene accesa d’entusiasmo e divertimento, delle lusinghe pirotecniche che l’adulatore s’inventa sempre all’impronta, della serata pirotecnica che organizziamo per far colpo sul nostro amore.
Una parola ricca di storia, radicata nella tradizione, che parla in metafora con l’immediatezza del luogo comune e la finezza tecnica dei suoi elementi.
Oggi trattiamo di fuochi d’artificio. D’artificio. E questo è il primo punto insolito della materia di cui ci vuole parlare questa parola: non ci parla di fuochi naturali.
Be’, ovviamente tutto è naturale, siamo natura e non c’è nulla di esistente che sfugga alla natura, ma dobbiamo adottare la normale sfocatura del termine: qui si parla di fuochi creati con l’applicazione di un’arte umana speciale. E non quella (complessa, in verità) di ‘fare il fuoco’ — quello per scaldarsi, cucinare, lavorare — ma in particolare quell’arte nata in Cina di unire salnitro, carbone e zolfo per creare la polvere da sparo.
L’aggettivo ‘pirotecnico’ (costruito con l’adattamento degli elementi greci pyro- ‘fuoco’ e téchne ‘arte’) ci porta alla mente l’immagine di fuochi d’artificio che hanno scopi spettacolari, meramente estetici, ma la loro genesi non è diversa da quella dei fuochi delle armi da fuoco: la materia esplosiva è analoga, e questi fuochi pacifici sono solo un po’ più recenti in Occidente, e nelle forme che riconosciamo oggi.
È in effetti curioso che questa parola non sia nata in riferimento alla tecnica di produzione di esplosivi bellici, e che sia emersa non prima della fine del Seicento, in Francia (pyrotechnique in francese), recepita addirittura negli anni ‘70 del Settecento in italiano — mentre la formula della polvere da sparo attuale è riportata a metà del Duecento dal filosofo francescano e alchimista Ruggero Bacone. Forse questo scarto nasce dal fatto che la tecnica davvero problematica in materia non fosse quella produttiva della polvere esplosiva, ma delle armi che fossero in grado di usarne l’energia nei modi più letali. Mentre nella pirotecnica di spettacolo la complessità dell’ideazione del cartone da far deflagrare, con composti combustibili e coloranti, raggiunge il grado di un’arte.
Così non ci stupisce che sia proprio in quel periodo — la fine del Seicento — che gli spettacoli di fuochi d’artificio hanno iniziato a costruirsi la loro fama, che come sappiamo bene dura ancora oggi e in maniera speciale, nel nostro Paese. E tanta presa ha quest’arte nella nostra cultura che l’aggettivo ‘pirotecnico’ prende significati figurati di grande smalto.
È il vivacissimo, lo spumeggiante, con un taglio perfino fantasmagorico, che sorprende e incalza in maniera serrata. Possiamo parlare del finale pirotecnico del film, in cui si susseguono colpi di scena al fulmicotone, del discorso pirotecnico pronunciato alla premiazione con cui la platea viene accesa d’entusiasmo e divertimento, delle lusinghe pirotecniche che l’adulatore s’inventa sempre all’impronta, della serata pirotecnica che organizziamo per far colpo sul nostro amore.
Una parola ricca di storia, radicata nella tradizione, che parla in metafora con l’immediatezza del luogo comune e la finezza tecnica dei suoi elementi.