Tazebao
ta-ze-bà-o
Significato Manifesto cinese affisso in luoghi pubblici, generalmente di contenuto politico; per estensione, cartellone o striscione di contenuti analoghi, diffusosi anche in occidente
Etimologia dal cinese 大字报 dàzìbào, letteralmente ‘manifesto a grandi caratteri’.
Parola pubblicata il 10 Luglio 2020
Parole cinesi - con Francesco Nati
Le parole cinesi entrate in italiano non sono tante, ma sono importanti: in massima parte estremamente comuni, la loro storia è in grado di raccontarci uno dei contatti culturali più complessi e meno conosciuti che ci siano fra l'italiano e un'altra lingua. Le scopriremo un venerdì su due.
Ci sono parole che ricoprono un lasso lunghissimo di tempo e spazio, altre che ci trasportano in una precisa epoca e zona geografica e sono dunque pregne di uno spirito non più attuale. È proprio questo il caso di ‘tazebao’ (o ‘dazebao’), un termine entrato in auge in Cina durante il tumultuoso ventennio che va dalla fine degli anni ’50 fino alla morte di Mao Zedong (o Mao Tse-tung, nella vecchia trascrizione) e alla successiva ascesa di Deng Xiaoping, nella seconda metà degli anni ‘70. Arrivato in Italia nel 1969, in concomitanza con la rivoluzione culturale (1966-1976), diventò una delle parole chiave per i nostri giovani che inneggiavano all’utopia cinese sventagliando il libretto rosso di Mao.
La costituzione cinese, in effetti, fino al 1980 garantiva ai cittadini il diritto di affiggere manifesti in luoghi pubblici per esporre i propri punti di vista, sfogare il talento artistico o presentare istanze di vario tipo (dopo la riforma costituzionale, in cui venne vietato, questo strumento avrebbe avuto un breve ritorno di fiamma solo durante gli eventi di piazza Tian’an men, nel 1989), tuttavia l’uso politico del dazebao ha una data di nascita ufficiale: il 19 maggio 1957, quando una studentessa dell’università di Pechino, nella mensa dell’ateneo, appende un grande foglio bianco nel quale critica pubblicamente la Lega della Gioventù Comunista Cinese, tacciandola di poca trasparenza nella selezione dei suoi membri.
Era solo il primo esempio di una forma espressiva tipicamente giovanile, non dissimile nello spirito dai ciclostilati dei sessantottini nostrani, che negli anni successivi sarebbe stata portata all’estremo dalle famose ‘guardie rosse’, giovanissimi cinesi dei quali Mao si servì per scatenare la lotta politica contro i suoi oppositori. Come si diceva poc’anzi, questa maniera spontanea e tecnologicamente rudimentale di convogliare i messaggi fu ben accolta anche nel nostro paese, tanto che, da noi, i manifesti cartacei scritti con grossi pennelli e appesi sui muri delle università presero proprio il nome che avevano in Cina (interessante notare che la lingua inglese non fece altrettanto e al giorno d’oggi si usa la traduzione letterale big character posters).
Sebbene il termine si riferisca in origine a un cartellone di forma quadrata o rettangolare, con un testo più o meno articolato al suo interno, nell’italiano moderno questa parola indica più frequentemente uno striscione di contestazione, con slogan di vario contenuto, affisso in luoghi politicamente sensibili.