SignificatoAccumulare ricchezze senza investirle; accumulare; tenere in serbo
Etimologia voce dotta recuperata dal latino ecclesiastico thesaurizàre, dal greco thesaurízein, da thesaurós ‘tesoro’, di etimo incerto.
L’uso di questo verbo come termine specialistico dell’economia, la sua aura dotta e vagamente burocratica possono trarci in inganno. ‘Tesaurizzare’ è un verbo molto antico, e che ha avuto una particolare esperienza di vita.
Ora, in greco il termine thesaurós indica innanzitutto un luogo in cui si custodisce qualcosa – spesso si trattava di veri e propri templi-deposito per le offerte votive a una divinità. Per estensione diventa ciò che è così custodito, sfumando nel nostro concetto di tesoro. Così capiamo subito perché il thesaurízein originario ha un significato immediato di ‘accumulare’, ‘tenere in serbo’. E sarà questo il profilo che conserverà anche in italiano.
Fa parte di una compagnia di verbi che conservano un vestigio verbale greco -iz- attraverso una transizione nel latino ecclesiastico, specie nella Vulgata di San Girolamo — opera che ha trasportato in latino da Oriente un bel patrimonio lessicale di ascendenza ebraica e greca per le lingue romanze nasciture. In questa brigata, insieme al tesaurizzare troviamo anche voci attese, come battezzare, catechizzare, e altre meno scontate, come profetizzare e scandalizzare.
Quindi è giusto notare come tesaurizzare significhi accumulare ricchezza tenendola ferma, senza destinarla ad altri investimenti, e si può allora parlare di come l’aristocrazia rispondesse all’incertezza politica tesaurizzando, di come l’impresa cerchi di tesaurizzare certi proventi prevedendo un’imminente crisi di liquidità, o di come si tesaurizzino certe scorte delle quali ci si approvvigiona con difficoltà — ma questo che suona come un termine di economia aziendale è quello che si trova ad esempio nel celebre passo del vangelo di Matteo 6:19, nolite thesaurizare vobis thesauros in terra ubi erugo et tinea demolitur ubi fures effodiunt et furantur (non accumulate per voi tesori in terra, dove la ruggine e la tigna distruggono, dove i ladri scassinano e rubano). È un verbo dalla vita complessa, e compare in italiano già nel Duecento.
Nonostante la vicinanza ideale si distingue un po’ dal ‘fare tesoro’; nel fare tesoro c’è il tratto più consueto del tesoro, quello del chi trova un amico. Fare tesoro di qualcosa – un’esperienza, un insegnamento – non vuol dire accatastarlo in un caveau interiore, ma tenerlo distinto e personalmente presente nel suo valore, ben pronto all’investimento. Invece il tesaurizzare ha un odore di deposito, di un tenere in serbo in un coacervo più rinfuso, in cui diventa rilevante la massa di ciò che si conserva. Così se tesaurizzo esperienze, intanto le accumulo; se tesaurizzo consigli tenterò di trarne una statistica; se tesaurizzo idee per una nuova fase, devo ancora decidere quali spendere, e come.
L’uso di questo verbo come termine specialistico dell’economia, la sua aura dotta e vagamente burocratica possono trarci in inganno. ‘Tesaurizzare’ è un verbo molto antico, e che ha avuto una particolare esperienza di vita.
Ora, in greco il termine thesaurós indica innanzitutto un luogo in cui si custodisce qualcosa – spesso si trattava di veri e propri templi-deposito per le offerte votive a una divinità. Per estensione diventa ciò che è così custodito, sfumando nel nostro concetto di tesoro. Così capiamo subito perché il thesaurízein originario ha un significato immediato di ‘accumulare’, ‘tenere in serbo’. E sarà questo il profilo che conserverà anche in italiano.
Fa parte di una compagnia di verbi che conservano un vestigio verbale greco -iz- attraverso una transizione nel latino ecclesiastico, specie nella Vulgata di San Girolamo — opera che ha trasportato in latino da Oriente un bel patrimonio lessicale di ascendenza ebraica e greca per le lingue romanze nasciture. In questa brigata, insieme al tesaurizzare troviamo anche voci attese, come battezzare, catechizzare, e altre meno scontate, come profetizzare e scandalizzare.
Quindi è giusto notare come tesaurizzare significhi accumulare ricchezza tenendola ferma, senza destinarla ad altri investimenti, e si può allora parlare di come l’aristocrazia rispondesse all’incertezza politica tesaurizzando, di come l’impresa cerchi di tesaurizzare certi proventi prevedendo un’imminente crisi di liquidità, o di come si tesaurizzino certe scorte delle quali ci si approvvigiona con difficoltà — ma questo che suona come un termine di economia aziendale è quello che si trova ad esempio nel celebre passo del vangelo di Matteo 6:19, nolite thesaurizare vobis thesauros in terra ubi erugo et tinea demolitur ubi fures effodiunt et furantur (non accumulate per voi tesori in terra, dove la ruggine e la tigna distruggono, dove i ladri scassinano e rubano). È un verbo dalla vita complessa, e compare in italiano già nel Duecento.
Nonostante la vicinanza ideale si distingue un po’ dal ‘fare tesoro’; nel fare tesoro c’è il tratto più consueto del tesoro, quello del chi trova un amico. Fare tesoro di qualcosa – un’esperienza, un insegnamento – non vuol dire accatastarlo in un caveau interiore, ma tenerlo distinto e personalmente presente nel suo valore, ben pronto all’investimento. Invece il tesaurizzare ha un odore di deposito, di un tenere in serbo in un coacervo più rinfuso, in cui diventa rilevante la massa di ciò che si conserva. Così se tesaurizzo esperienze, intanto le accumulo; se tesaurizzo consigli tenterò di trarne una statistica; se tesaurizzo idee per una nuova fase, devo ancora decidere quali spendere, e come.