Etimologia da torrefare, voce dotta recuperata dal latino torrefacere ‘arrostire, abbrustolire’, composto di torrére ‘far seccare’ e fàcere ‘fare’.
Qui si tocca con mano una gagliarda possibilità linguistica. ‘Torrefazione’ è un termine popolare: vigila sulle nostre città dalle insegne di locali e imprese che tostano i chicchi verdi di caffè, e che quindi inziano a curare il risultato sensuale della bevanda più a monte rispetto alla scelta della macchina, dell’acqua, della macinatura. Termine popolare ma minerale, cristallizzato: lo leggiamo solo su quelle insegne, e pare difficile immaginare lui o il verbo ‘torrefare’ da cui deriva fuori da questo importante ma ristrettissimo ambito. Pare.
Il torrefacere latino era un verbone che abbracciava diversi tipi di cottura, dal grigliare all’arrostire all’abbrustolire: con quella sintesi poetica che molte etimologie ci svelano, era essenzialmente un far seccare alla fiamma (se a qualcuno viene in mente ‘torrido’, sì, è del medesimo ceppo). Ora, il nostro torrefare e la nostra torrefazione non sono rimasti una faccenda alimentare: recuperati nel XVIII secolo, visto il significato originario oggettivamente versatile (‘far seccare’), hanno riguardato la lavorazione dei minerali, del tabacco, e nella nostra letteratura non mancano dei torrefare-inaridire. Ma non si sono nemmeno fatti generici, anzi: possiamo vedere che si sono quasi totalmente imperniati sulla torrefazione quale processo di riscaldamento ad alta temperatura volto a ossidare, disidratare e in una certa misura carbonizzare un materiale - per fini diversi. Sono dei termini procedurali.
Si distingue dal ‘tostato’ per intensità: il tostare e la tostatura (per quanto siano più o meno la stessa cosa) danno l’impressione di processi più agili e minuti, roba domestica, da pane per la colazione, da riso per la cena. Si rende più tosto qualcosa che se è più tosto è più buono, facile. Invece il torrefare e la torrefazione hanno un’aria più seria, di processo più importante, hanno un’ascendenza latina più marcata, e arrivano anche al carbonizzare in tutta serenità - il che apre all’ironia. Se mi dimentico il pane in forno (lo volevo riscaldare perché era un po’ vecchio) non lo trovo tostato, lo trovo torrefatto, e lo posso solo sbriciolare. Con la dispensa vuota ci ritroviamo a sgranocchiare i biscotti che ci ha preparato e regalato a Natale il nostro amico, e che fanno schifo perché sono torrefatti ma almeno così non vanno mai a male. I fiori, li ho lasciati in macchina; torno e li trovo torrefatti.
Insomma, il torrefare e la torrefazione possono scendere dalle insegne e vivere.
Qui si tocca con mano una gagliarda possibilità linguistica. ‘Torrefazione’ è un termine popolare: vigila sulle nostre città dalle insegne di locali e imprese che tostano i chicchi verdi di caffè, e che quindi inziano a curare il risultato sensuale della bevanda più a monte rispetto alla scelta della macchina, dell’acqua, della macinatura. Termine popolare ma minerale, cristallizzato: lo leggiamo solo su quelle insegne, e pare difficile immaginare lui o il verbo ‘torrefare’ da cui deriva fuori da questo importante ma ristrettissimo ambito. Pare.
Il torrefacere latino era un verbone che abbracciava diversi tipi di cottura, dal grigliare all’arrostire all’abbrustolire: con quella sintesi poetica che molte etimologie ci svelano, era essenzialmente un far seccare alla fiamma (se a qualcuno viene in mente ‘torrido’, sì, è del medesimo ceppo). Ora, il nostro torrefare e la nostra torrefazione non sono rimasti una faccenda alimentare: recuperati nel XVIII secolo, visto il significato originario oggettivamente versatile (‘far seccare’), hanno riguardato la lavorazione dei minerali, del tabacco, e nella nostra letteratura non mancano dei torrefare-inaridire. Ma non si sono nemmeno fatti generici, anzi: possiamo vedere che si sono quasi totalmente imperniati sulla torrefazione quale processo di riscaldamento ad alta temperatura volto a ossidare, disidratare e in una certa misura carbonizzare un materiale - per fini diversi. Sono dei termini procedurali.
Si distingue dal ‘tostato’ per intensità: il tostare e la tostatura (per quanto siano più o meno la stessa cosa) danno l’impressione di processi più agili e minuti, roba domestica, da pane per la colazione, da riso per la cena. Si rende più tosto qualcosa che se è più tosto è più buono, facile. Invece il torrefare e la torrefazione hanno un’aria più seria, di processo più importante, hanno un’ascendenza latina più marcata, e arrivano anche al carbonizzare in tutta serenità - il che apre all’ironia. Se mi dimentico il pane in forno (lo volevo riscaldare perché era un po’ vecchio) non lo trovo tostato, lo trovo torrefatto, e lo posso solo sbriciolare. Con la dispensa vuota ci ritroviamo a sgranocchiare i biscotti che ci ha preparato e regalato a Natale il nostro amico, e che fanno schifo perché sono torrefatti ma almeno così non vanno mai a male. I fiori, li ho lasciati in macchina; torno e li trovo torrefatti.
Insomma, il torrefare e la torrefazione possono scendere dalle insegne e vivere.