SignificatoDi farmaco che lenisce blandamente il dolore; scialbo, impersonale, vago
Etimologia voce dotta recuperata dal latino anòdynus, dal greco anódynos ‘libero da dolore, che non dà dolore’, derivato di odýne ‘dolore’ col prefisso negativo an-.
Qui dobbiamo fare uno sforzo particolare, perché c’è da cogliere la grande vitalità di un’immagine specifica, che però è veicolata da una parola inconsueta, e che quindi ci può sembrare tiepida.
Come vedremo ha un nucleo di significato semplice, addirittura dimesso, da cui si estende una serie di significati figurati (peraltro principali, nell’uso corrente) che nella sua progressione ci darà l’impressione di attraversare un fiume saltando di sasso in sasso. È una di quelle parole che, oltre ad essere utili in quanto fini ed eloquenti, ci spiega quali concetti sono vicini fra loro, nelle circonvoluzioni delle nostre menti.
Il greco anòdynus è un aggettivo che qualifica chi o ciò che è libero da dolore, che non causa dolore. Passa in latino e su modello di altre lingue europee arriva in italiano alle porte del Settecento, con un primo significato scientifico, farmaceutico, restringendo quindi il suo alveo — ma sappiamo che un alveo che si restringe fa scorrere l’acqua più veloce.
Questo anòdino, che resta aggettivo, qualifica un farmaco blando, lenitivo, che allevia il dolore, che calma: non è un farmaco che oblitera la sensazione, che stende — piuttosto ottunde, ha una certa medietà d’effetto, e questo è il punto rilevante nella progressione verso i significati principali dell’anodino.
Questa opacizzazione del sentimento per opera di un farmaco si traduce in un senso di scialbo: ciò che diciamo anodino è poco vivace, poco espressivo, fiacco, senza energia. Una poesia anodina ci fa girare pagina in fretta, un discorso d’insediamento anodino è debole, non arriva. Seguendo queste sensazioni l’anodino si arricchisce di sfumature, e si precisa nell’impersonale, privo di carattere: nel modo in cui è ovattato perde ogni rilievo. E non finisce qui.
La perdita di rilievi è anche perdita di riferimenti, addentellati, sottigliezze, acumi, e quindi è una perdita di chiarezza: l’anodino si fa vago, inoffensivo, addirittura insignificante, di poco conto. La promessa rivoluzionaria si concretizza in una riforma anodina; nel dubbio, davanti alla carta del ristorante che ci propone di osare, facciamo una scelta anodina; e la nuova direzione creativa stabilisce che il nome anodino del prodotto vada cambiato.
È una parola dalle ampie possibilità, che ci offre dei significati dalla trama ricca, piena di implicazioni e sfaccettature: questa ricchezza è un tratto che la distingue da tanti sinonimi che toccano alcuni aspetti particolari di questa sedazione. L’anodino ha un’idea d’insieme del fenomeno. Certo ha un’altezza che non la rende accessibile in ogni contesto, ma è abbastanza a buon mercato, non vive in una dimensione astrusa. Di certo, è una parola buona per discorsi che non siano anodini.
Qui dobbiamo fare uno sforzo particolare, perché c’è da cogliere la grande vitalità di un’immagine specifica, che però è veicolata da una parola inconsueta, e che quindi ci può sembrare tiepida.
Come vedremo ha un nucleo di significato semplice, addirittura dimesso, da cui si estende una serie di significati figurati (peraltro principali, nell’uso corrente) che nella sua progressione ci darà l’impressione di attraversare un fiume saltando di sasso in sasso. È una di quelle parole che, oltre ad essere utili in quanto fini ed eloquenti, ci spiega quali concetti sono vicini fra loro, nelle circonvoluzioni delle nostre menti.
Il greco anòdynus è un aggettivo che qualifica chi o ciò che è libero da dolore, che non causa dolore. Passa in latino e su modello di altre lingue europee arriva in italiano alle porte del Settecento, con un primo significato scientifico, farmaceutico, restringendo quindi il suo alveo — ma sappiamo che un alveo che si restringe fa scorrere l’acqua più veloce.
Questo anòdino, che resta aggettivo, qualifica un farmaco blando, lenitivo, che allevia il dolore, che calma: non è un farmaco che oblitera la sensazione, che stende — piuttosto ottunde, ha una certa medietà d’effetto, e questo è il punto rilevante nella progressione verso i significati principali dell’anodino.
Questa opacizzazione del sentimento per opera di un farmaco si traduce in un senso di scialbo: ciò che diciamo anodino è poco vivace, poco espressivo, fiacco, senza energia. Una poesia anodina ci fa girare pagina in fretta, un discorso d’insediamento anodino è debole, non arriva. Seguendo queste sensazioni l’anodino si arricchisce di sfumature, e si precisa nell’impersonale, privo di carattere: nel modo in cui è ovattato perde ogni rilievo. E non finisce qui.
La perdita di rilievi è anche perdita di riferimenti, addentellati, sottigliezze, acumi, e quindi è una perdita di chiarezza: l’anodino si fa vago, inoffensivo, addirittura insignificante, di poco conto. La promessa rivoluzionaria si concretizza in una riforma anodina; nel dubbio, davanti alla carta del ristorante che ci propone di osare, facciamo una scelta anodina; e la nuova direzione creativa stabilisce che il nome anodino del prodotto vada cambiato.
È una parola dalle ampie possibilità, che ci offre dei significati dalla trama ricca, piena di implicazioni e sfaccettature: questa ricchezza è un tratto che la distingue da tanti sinonimi che toccano alcuni aspetti particolari di questa sedazione. L’anodino ha un’idea d’insieme del fenomeno. Certo ha un’altezza che non la rende accessibile in ogni contesto, ma è abbastanza a buon mercato, non vive in una dimensione astrusa. Di certo, è una parola buona per discorsi che non siano anodini.