Aulico

àu-li-co

Significato Di corte; di lingua o stile, elevato, raffinato

Etimologia voce dotta recuperata dal latino aulicus, dal greco aulikós ‘della corte’.

Le parole volano. Ogni giorno ne pronunciamo un visibilio, e sembra che nella quasi totalità dei casi non ne resti traccia. Questa è una realtà che si concilia in maniera bizzarra con la loro resistenza. Le rocce si consumano e sbeccano, i templi, gli acquedotti e i castelli crollano, e invece le parole conservano il loro smalto come se fossero ribattute ogni volta nella zecca della nostra bocca.

L’aggettivo ‘aulico’ è obiettivamente molto importante. Appartiene a una classe di parole insieme ricercate e ricorrenti, usate per rappresentare con efficacia un tratto potente della realtà. In particolare ci offre la qualità sfaccettata di un linguaggio o di uno stile colto e raffinato, che per nobiltà e levatura è proprio dei contesti più alti. E qui scopriamo la speciale attitudine dell’aulico.

Oggi questa immagine degli ‘contesti alti’ ha perso un po’ di immediatezza: quali sono questi ambienti linguistici, come sono? Forse una certa accademia solenne, forse certi circoli di potere politico, forse certe cerchie di potere economico, forse certe acque artistiche? Non sono ambienti che sappiamo rappresentarci in maniera icastica e univoca, con contorni netti e memorabili — hanno qualcosa di inafferrabile e proteiforme. Ma non è sempre stato così: per la quasi totalità della storia della civiltà c’è stato un ambiente alto di riferimento, singolo, evidente, e grossomodo invariabile e addirittura universale: la corte. Cioè il sovrano e il suo seguito. Aulicus era innanzitutto il ‘relativo alla corte’.

Il greco aulé aveva il significato primario di corte, nel senso architettonico del termine — cortile, recinto. Giunta a Roma come aula, si è attagliata agli spazi della domus, come l’atrio, e per sineddoche si è ricreata una posizione col significato di palazzo, reggia (come aveva anche in greco) — in un’identità mai sciolta fra lo spazio e il gruppo che lo frequenta. L’aula diventa anche i cortigiani, la vita di corte, la potenza regale e curiale che a corte si esprime.

È da questo terreno che nasce l’aulico — aulikós in greco, raccolto come aulicus in latino. L’aulico è ciò che è adatto alla corte, proprio della corte (anche in italiano posso parlare di un poeta aulico), ma più concretamente è ciò che è degno di stare e soprattutto risuonare in un palazzo di potere. Poi con i secoli si è smussato, perdendo il riferimento univoco alla corte e aprendosi alle eleganze di tutti i rivoli di contesti elevati che possiamo immaginare, con profili colti e fini. È un po’ il destino dell’aula stessa: sono aule d’antico fasto quelle dei tribunali e dei parlamenti, ma ci sono anche le aule scolastiche, che pur nel loro tratto istituzionale sono più alla mano.

Peraltro questo è un caso in cui è particolarmente interessante confrontarsi con i contrari: dalla parte opposta all’aulico siedono il volgare, il comune, il quotidiano, il basso. L’aulico si distingue dalla normalità del nostro parlare consueto, si allontana dal corrente, dal solito — anche nelle vesti di volgare e di basso. Cerca qualcosa di più, e questo gli fa perdere il contatto col luogo comune, nel bene e nel male.

Può essere aulico il discorso pronunciato nell’occasione della ricorrenza dal sindaco che di solito si pone in modo schietto e umile. Possiamo cercare di coprire con espressioni auliche la nostra incapacità di dare una risposta diretta alla domanda. E nella lettera scritta dal bisnonno, fra le crepe di un tono aulico un po’ goffo, vediamo trapelare tutto l’affetto verso la bisnonna. E sono auliche le parole che hanno un alto grado di ricercatezza insolita, che mostrano un’eleganza straordinaria, che dispiegano immagini e intellezioni che sarebbero del tutto sovradimensionate per un discorso comune.

Bello e semplice che tutto nasca dallo sforzo d’essere illustri nel parlare, nel contesto illustre dell’ambiente dei sovrani.

Parola pubblicata il 15 Febbraio 2023